Manuela Scatà, ginecologa: “Allattamento al seno e prevenzione del dolore contro la depressione post partum, a patto di ascoltare la donna”

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Finalmente su post-partum.it l’intervento di una ginecologa! Vi presento Manuela Scata’, professionista che lavora all’Ospedale S.Lazzaro di Alba: una donna che ascolta le altre donne non solo dal punto di vista del proprio mestiere, ma anche umanamente (io stessa mi sono avvalsa della sua consulenza e devo dire che in 20 minuti di conversazione ha diradato la nebbia sul mio parto). Ecco quello che ha raccontato.

Manuela, qual è il tuo percorso professionale e dove lavori attualmente?

Ho  36 anni, ho fatto il Liceo Classico e poi frequentato l’Università degli Studi di Torino. Mi sono Laureata in Medicina e Chirurgia nel 2004 e ho conseguito la Specializzazione in Ginecologia e Ostetricia nel 2011, dopo 5 anni di formazione presso l’Ospedale S. Anna di Torino. Durante gli anni di specialità mi sono dedicata soprattutto all’Ostetricia e in particolare alle gravidanze a rischio. Dopo la Specializzazione  ho lavorato ancora all’Ospedale S.Anna per circa un anno e poi sono approdata all’Ospedale S.Lazzaro di Alba, dove lavoro tuttora.

L’allattamento al seno può prevenire la depressione post partum?

L’allattamento al seno  ben avviato comporta alte dosi di prolattina e di progesterone in circolo e  questi due ormoni riducono il rischio di depressione post-partum. Alti livelli di progesterone infatti inducono nella madre un maggiore rilassamento e una migliore predisposizione al sonno; alti livelli di prolattina correlano con maggiori quantità di latte prodotto e quindi con un aumento dell’autostima, del senso di appagamento e di  soddisfazione nella madre nutrice: pertanto tutte le donne esposte al rischio di depressione post-partum e anche le donne affette da depressione post-partum dovrebbero essere incoraggiate ad allattare.

Purtroppo nel nostro tempo benché sia condiviso il concetto che l’allattamento al seno è importante e ha benefici enormi, si è persa l’attitudine (se così possiamo definirla) ad allattare. Al tempo delle  nostre nonne le famiglie spesso  erano allargate e “i modelli” erano ben presenti perché  c’era più o meno  sempre, tra i componenti del nucleo familiare, una donna  che allattava al seno … Poi negli anni ‘70-80  c’è stato il boom del  latte artificiale. Perché allattare al seno?  Molto più ricco e più nutriente il latte di formula.

E infine, dagli anni ’90, ecco il ritorno al latte “di mamma”, in definitiva imbattibile: veicola gli anticorpi della madre proteggendo  il bambino da molte malattie; è già pronto ed è a costo zero; è pratico in ogni occasione; consente l’allattamento a richiesta senza che il bambino diventi obeso … etc etc. Peccato che nel mentre si siano persi i modelli comportamentali e le donne sovente ora vogliono allattare ma non sanno più  come si fa.

Un altro problema è rappresentato dal fatto che i media  veicolano spesso  messaggi che l’allattamento è una cosa istintiva, naturale … così se la donna all’inizio incontra ostacoli (ragadi, ingorghi, il neonato che non raggiunge il peso desiderato dal  pediatra, e così via) si sente inadeguata e pensa di non essere all’altezza… : in questo caso anziché il circolo virtuoso prima descritto si ingenera un circolo vizioso tale che può portare anzi al fallimento dell’allattamento al seno; così da fattore protettivo per la depressione post-partum l’allattamento difficoltoso può ingenerare nella madre stress e senso di inadeguatezza tali da diventare addirittura un fattore di rischio per pressione post-partum.

Per cui prevenzione della depressione post-partum grazie all’allattamento al seno? Certamente sì, ma SOLO SE  accompagniamo la donna prima, durante e dopo  il parto, solo se  ci rendiamo disponibili a parlare con lei e a verificare concretamente  di volta in volta le difficoltà, per tentare di risolverle: questo si riesce a fare solo se esiste una rete territoriale  e se questa rete è solida,  se tutti lavoriamo secondo le evidenze, se tutti siamo coerenti  nel fornire consigli e informazioni.

E se una mamma non vuole allattare?

I sanitari (siano nello specifico il ginecologo o l’ostetrica o il pediatra) dovrebbero avere come fine ultimo il benessere della madre e del bambino. Di fronte a una madre che non vuole allattare è importante parlare con la donna per conoscere le ragioni che la inducono alla rinuncia: a volte si tratta di paure superabili con un’adeguata informazione o problematiche suscettibili di trattamento. Laddove però la donna per motivi familiari o personali (di natura fisica o psicologica) davvero non desideri allattare, io credo sia doveroso rispettare la sua scelta. In certi casi meglio una mamma contenta con biberon e latte di formula in mano che una mamma frustrata per un allattamento al seno “coatto”.

La prevenzione del dolore può anche in questo caso prevenire la depressione post partum?

Un dolore protratto è in grado di generare una situazione di stress tale da influenzare negativamente alcuni ormoni e neurotrasmettitori e quindi essere un fattore di rischio per depressione post-partum.

L’esperienza del dolore in corso di travaglio è altamente soggettiva, risultato della ricezione ed elaborazione di stimoli di diversa entità attraverso le emozioni, le motivazioni, la cognizione, le circostanze sociali e culturali proprie di ogni singola donna. Questa complessità rende difficile predire da parte sia della donna sia del professionista che la assiste , quale potrà essere la sua esperienza del dolore.

Tutte le modalità di contenimento del dolore possono contribuire alla riduzione del dolore in travaglio e in questo senso agire come fattore protettivo sul rischio di insorgenza di depressione post-partum.  Tra queste modalità annoveriamo l’analgesia peridurale, metodo farmacologico molto  efficace nel ridurre significativamente il dolore in travaglio, ma non scevro da rischi (aumenta il rischio di parti operativi, di febbre materna; comporta una maggiore necessità di utilizzare l’ossitocina in travaglio, etc etc); ma anche metodi non farmacologici, quali il bagno caldo, l’aromaterapia, il massaggio, il sostegno emotivo: tutti metodi in assoluto  meno potenti dell’analgesia peridurale ma spesso altrettanto efficaci, perché è assolutamente provato che c’è una differenza qualitativa enorme tra il dolore in un contesto di sofferenza, di mancanza di aiuto ed il dolore che si sperimenta  in un contesto di accompagnamento, in un ambiente confortevole e con le persone di fiducia accanto.

Quali sono le paure che le mamme hanno maggiormente durante la gravidanza e subito dopo?

La paura più frequente di una mamma in gravidanza è sicuramente quella  che il feto abbia qualche anomalia, qualche malformazione. Domanda ricorrente alle ecografie ostetriche è infatti “ è tutto a posto? È tutto normale?”. E anche la curiosità sul peso del nascituro, su quanto misura in lunghezza e così via celano in realtà un importante bisogno di rassicurazioni.

Subito dopo la gravidanza invece la paura più diffusa nelle neomamme è quella di “non essere all’altezza”. Io penso che la paura di non essere una buona madre o di non saper interpretare i bisogni del proprio bambino – che da neonato ha a disposizione solo il pianto e il linguaggio del corpo per farsi capire – riguardi un po’ tutte le mamme. Certamente può essere importante arrivare “preparate”, avere un bagaglio di conoscenze sul comportamento dei neonati che sia d’aiuto per l’inizio. Ma  non bisogna sperare di avere  sempre la risposta pronta nel libro letto o nel consiglio fornito dall’esperto. Chi ha più figli sa che ogni bambino è “unico” fin dalla nascita (anzi probabilmente fin dalla gravidanza) e l’individualità di ciascuno si esprime fin dai primi comportamenti. In ogni famiglia si creano regole, abitudini, modalità di relazione differenti. E in molte situazioni, laddove non si sa che strada seguire e i consigli vanno in direzioni opposte.. io penso che la  scelta migliore sia cercare di “tapparsi le orecchie” e scegliere seguendo il proprio cuore!

In generale: le donne hanno aspettativa realistica della maternità?

Che domanda difficile…. Io mi considero un’ottimista di fondo, cerco di vedere il lato positivo in ogni cosa e in ogni persona. Purtroppo la società in cui viviamo attenta sempre di più alla mia visione ottimistica del mondo! I passi da gigante compiuti negli ultimi decenni in ambito scientifico e tecnologico hanno contribuito a rendere molto più “concreta  e realistica” la maternità fin dalle prime settimane di gestazione: il  test di gravidanza può essere fatto già una settimana dopo il concepimento (la donna può non attendere il ritardo mestruale per sapere di essere incinta!);  il sesso del nascituro si palesa spesso tra il terzo e il quarto mese di gravidanza; le ecografie ostetriche consentono di studiare (anche se per questi scopi mi viene sempre più naturale dire “spiare”) le espressioni del feto, i lineamenti del viso, i  suoi comportamenti in utero …

Tutto questo “progresso” ha lasciato un po’ meno spazio al mondo “dell’immaginato”, un vissuto molto più intimo e profondo della madre e della coppia in genere con il proprio bambino in arrivo, rappresentato soprattutto dalle emozioni che scaturiscono da quel che si può percepire e sentire con il corpo e non soltanto dalle emozioni di quel che si può vedere con gli occhi … Oggi alcune donne in gravidanza cercano continue conferme ecografiche del benessere del bambino anziché ascoltare i segnali e i cambiamenti  del proprio corpo  o acquistano discutibili apparecchi portatili per ascoltare il battito cardiaco del feto anziché  godersi più naturalmente e semplicemente i movimenti spontanei del bambino!

Faccio ecografie ostetriche quasi tutti i giorni e sono sempre più convinta che le ecografie utili nelle gravidanze fisiologiche siano davvero pochissime (forse tre se vogliamo esagerare): le altre sono del tutto superflue e anche se danno l’opportunità ai genitori di vedere spesso il loro figlio in arrivo, non riducono lo scarto che c’è tra il bambino “atteso” e quello “reale”, anzi …

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2 comments

  1. Maria

    Articolo molto interessante, ma secondo me, con tutto il rispetto, parlare di alte dosi di prolattina e di progesterone in circolo come fattori è un punto di vista un po’ biologicista… soprattutto perché fondamentalmente si tratta solo di ipotesi, sulla genesi della depressione a livello di biochimica cerebrale si sa ancora un po’ troppo poco, anche a livello scientifico… Se discutiamo di fattori predisponenti alla depressione, è più interessante parlare delle ore di sonno perse, che non verrebbero perse se un altro (papà, nonna/o, babysitter…) desse il santo biberon mentre la mamma dorme altrove… della possibilità di staccarsi fisicamente dal bambino, dalle sue continue richieste e anche dal proprio ruolo di mamma (scandalo!) facendosi un weekendino al mare e lasciando il pupo ai nonni… No, non è così comodo allattare al seno, specialmente l’allattamento esclusivo… anzi, incatena. Diventa “comodo” solo per le mamme che non avrebbero aiuti comunque, nel senso che se tanto devo sempre fare tutto da sola perché non ho nessuno che mi tiene il bambino o che mi aiuta, è più comodo tirare fuori la tetta che preparare il bibe. Ma ormai è un tabù anche dire quello… Sarà anche vero che l’allattamento al seno ha dei benefici… ma guardiamo anche ai fatti. Ci sono generazioni intere di adulti in tutti i Paesi e in tutti i contesti culturali, socio-economici, e di stile di vita, tirati su a latte artificiale e latte di mucca diluito… non vedo epidemie di malattie gravi, ritardi cognitivi… la nutrizione dopo lo svezzamento è un fattore molto più importante. Infatti se vai dal medico potrà chiederti se fumi e se bevi e se mangi grassi. Non ti chiede se sei stato tirato su a latte artificiale… perché in realtà non fa nessuna differenza. Mia modestissima opinione eh, di solito quando la esprimo mi lapidano ma in questo blog c’è aria di libertà di coscienza quindi parlo…

    • Valentina Colmi

      Io ho allattato tutte e due le mie figlie con il biberon, la seconda non ha mai visto la mia tetta. Pentita? No, piuttosto consapevole che l’allattamento non fa per me.

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