Melanie F. “Anna, la mia donna perfetta, che deve fare i conti con una gravidanza a rischio”

I casi della vita. Sono inciampata in “Una donna perfetta” (Cairo Editore) per caso, ma è stato un incontro molto importante. Venivo da un secondo aborto, mi pareva di essere l’unica al mondo a stare da cani e invece – come spesso accade – sono i libri che ti danno le risposte o che comunque ti fanno sentire meno sola. La storia parla di Anna, ex giornalista in carriera che ha sposato Mahmoud, un uomo d’affari di Dubai, e della sua vita negli Emirati. In particolare questo capitolo affronta la difficile seconda gravidanza di Anna e i suoi dubbi e i timori legati ad una bambina “a rischio”. Ne consegue un vero e proprio viaggio che le farà capire molto di sé, del suo modo di essere madre e moglie. Ecco quello che mi ha raccontato la sua autrice, Melanie Francesca. 

Melanie, nel tuo libro vengono affrontati dei temi importanti, che spesso vengono considerati tabù: la malattia della mamma di Anna, l’aborto di Oxana e la gravidanza a rischio di Anna. Come mai hai deciso di introdurre questi elementi nel romanzo? Cosa c’è – se c’è – della tua vita in questo? 

Ho deciso di introdurre questi temi proprio perché tabù. Prendi l’aborto spontaneo: è un evento che può capitare, soprattutto nel primo trimestre e di solito il personale ospedaliero te lo dice: “capita, purtroppo capita”, snocciolando altissime statistiche. Ma si parla poco, troppo poco, della sofferenza che provano le donne, di quel senso di vuoto insopportabile e della pesantissima sensazione di avere una colpa per l’accaduto. 

Ho affrontato il tema della malattia e della sofferenza perché credo che condividere il dolore e sapere di non essere soli sia il primo passo per tornare a sorridere alla vita. Di mio, in questo romanzo, c’è tutta la gravidanza a rischio e il parto prematuro. 

Ogni volta che torno su quei capitoli, risento vivissima la paura che ho provato nel guardare la mia bambina tanto fragile dentro l’incubatrice, la felicità assoluta di quando finalmente, in braccio, ho sentito il suo corpo da uccellino e ho incrociato il suo sguardo determinato.

Lasciami aggiungere che sono una felicissima testimonianza che tutto è andato per il meglio! La mia stupenda bambina, nata alla 30esima settimana, ora ha 7 anni, vuole fare la rock star ed è un concentrato di freschezza ed energia. 

Anna pur nell’agiatezza è una donna sola. Il marito non c’è mai, accudisce da sola il figlio più grande e si trova ad affrontare una gravidanza a rischio; l’uomo che dice di amarla le chiede di abortire, non vuole avere “problemi a casa”. Perché hai scelto per lei un percorso così difficile? 

Perché non credo che quella di Anna sia una situazione isolata. Sono tanti gli uomini che si sentono soli e abbandonati quando nasce loro un figlio. Fanno più fatica, rispetto a noi donne, a trovare un equilibrio in questa nuova famiglia, dove non si è più solo in due ma dove, anzi, tutte le attenzioni sono inevitabilmente rivolte al nuovo arrivato. Mahmoud è l’esasperazione delle paure di un uomo. Anna la forza che c’è in ogni madre.

Uno degli aspetti che più mi ha colpito è la trasformazione di Mahmoud durante il libro: non solo non sta vicino ad Anna durante la gravidanza, ma la umilia, la tratta male. Eppure lei non riesce a lasciarlo. Molte donne probabilmente si sono trovate nella stessa situazione e ciò può portare ad uno stato depressivo. Anna invece ce la fa a non caderci. Come fa a stare ancora in piedi nonostante tutto? 

Anna è una donna remissiva. Accettare il distacco e il disprezzo del marito durante tutto il periodo della gravidanza denotando la sua incapacità di ribellarsi. Anna è una donna che deve ancora crescere interiormente per liberarsi dalle sue prigioni. Tu credi che Anna non sia caduta in uno stato depressivo? Io non lo so… in una recensione al mio libro si dice che Anna sviluppa una forma latente di depressione post – parto.

Un’altra cosa spiazzante è il fatto che Mahmoud non cerchi di creare un legame con Haya, la sua bambina nata prematura. “Non le dici niente? Capisce sai?” gli dice Anna in ospedale e lui risponde: “Non può capire”. Ti sei ispirata alla tua esperienza personale per scrivere un personaggio così sprezzante? 

Come dicevo anche prima, ho esasperato le paure di un uomo. Nel mio caso, mio marito non è mai stato “sprezzante”, ma molto, troppo timoroso. Non credo abbia mai pensato che la nostra bambina non potesse capire, ma ha sempre tenuto un ansiogeno distacco pensando di poterle nuocere, essendo lei così piccola. Ad esempio, era così ossessionato dalle infezioni, che non riusciva a pensare che il contatto fisico potesse essere più salutare per la bambina che una sterile incubatrice. Io ero molto fragile. Cercavo di ricreare in quelle pareti asettiche della terapia intensiva il nido che avrei voluto costruire a casa, se nostra figlia fosse nata a termine. E così provavo per lui e il suo distacco una sorta di avversione. Scrivendo, non ho descritto lui ma il mio stato d’animo nei suoi confronti. 

 La piccola Haya nasce appunto prematura, quasi 3 mesi prima del termine con un parto cesareo. Due sono le domande che vorrei farti: come mai Anna dice che il parto cesareo non è un parto, anzi è una non nascita? Come si fa a rendere con le parole le angosce di una madre con un neonato in terapia intensiva neonatale?

Non è tanto il parto cesareo ad essere un non parto, quanto il fatto che la mia bambina sia stata tolta così precocemente dal mio utero. Credo che il corpo abbia una sua consapevolezza. Il mio sapeva che non era ancora ora di lasciarla andare.  

Non bastano certamente le parole per rendere l’angoscia di una madre con un neonato in tin. Perché le parole non possono descrivere la sofferenza, il senso di inadeguatezza, le enormi gioie per ogni progresso,  gli immensi spaventi vissuti accanto ai nostri bambini.  

Spero però che queste pagine possano essere di conforto per tutte quelle famiglie che si stanno trovando in questa situazione. Coraggio!

Oxana e Anna sembrano essere amiche, eppure c’è qualcosa che non convince. Anna vorrebbe avere forse la libertà di Oxana, mentre Oxana vorrebbe avere la famiglia che ha Anna. Secondo te provano invidia l’una verso l’altra? 

Oxana non riesce ad avere figli e la lineare quotidianità fatta di pannolini e biberon di Anna probabilmente, nel suo profondo, la turba. Viceversa, Anna è una mamma a tempo pieno, non accetta l’aiuto di tate e maids ma questo comporta la rinuncia di quella libertà di cui gode Oxana. Non credo sia invidia, penso piuttosto che ognuna veda nell’altra una propria mancanza.

Il tema della famiglia ha un ruolo centrale nel romanzo: Oxana è odiata da sua madre e da sua sorella e vede nel figlio che aspetta una nuova possibilità di riscatto, poi però perduta. Anche Anna ha una famiglia d’origine complicata e pure lei intende realizzarsi attraverso la maternità. Cosa ne pensi? 

Penso che ogni donna abbia il diritto di scegliere come realizzarsi. Con o senza figli. Ma mi è capitato, in un salotto televisivo, di chiacchierare di figli e maternità e di costatare che in Italia si è ancora molto lontani dal realizzare politiche sociali che permettono a una donna di fare la madre, di realizzarsi sul lavoro e di essere supportata dallo Stato.

Io a Dubai ho potuto dedicarmi ai miei figli, ho potuto fare la mamma. E questa è stata per me una grande realizzazione. Ma il problema non è quello che è gratificante per me, il problema è che in Italia non sempre una donna può permettersi il lusso di scegliere…

L’essere madre viene vissuto da Anna con conflitto: le manca la sua vita di prima, soprattutto professionale. Secondo te questa tensione l’avrebbe avvertita ugualmente se avesse avuto un uomo diverso da Mahmoud accanto? 

Sì, perché chi ha tanto da dire dentro, non può tacere. E in questo sono uguale ad Anna: scrivo perché non posso fare a meno di scrivere, perché sento di avere una missione: trovare un senso nel caos di ciò che ci circonda per provare a trasmettere questo senso anche agli altri. E così non si tratta più di professione ma di vocazione: non puoi abbandonare ciò che sei chiamato a fare, ti indebolisci e muori.

Anche Dubai è quasi un altro personaggio del romanzo: si parla della città come di un mondo artificiale, dove non esistono anziani, in cui la religione ha molta importanza, tant’è che Anna ad un certo punto decide di approfondire il suo rapporto con la fede in contrapposizione alla concezione musulmana di vivere del marito. E’ davvero così come la descrivi nel libro, visto che ci abiti?

Dubai è simbolo del lusso più sfrenato ma anche delle grandi contraddizioni, dove modernità e valori tradizionali spesso si scontrano; il caso più assurdo, a mio avviso, è la legge che proibisce di baciarsi in pubblico. Questo significa che io non posso baciare pubblicamente mio marito. Ma il paradosso più macroscopico è oscuro di Dubai riguarda gli operai e la manovalanza sottopagata, diciamo schiavizzata, che costituisce la maggioranza della popolazione di questa città ma che nessuno dei cittadini arabi ricchi vuole vedere. 

Ma poi se vai dentro negli shopping mall trovi la plasticità della vita in una scatola di lusso che però è abitata da terzo mondo, in situazioni da campo di lavoro di sfruttamento estremo, dormitori enormi, passaporti sequestrati fino che uno non paga indietro il debito contratto per venire in questo paese a lavorare senza diritti umani.

In tutto il medioriente siamo al limite della legalità, tu vivi in una riserva come quando vai alle Mauritius o ai caraibi, se chiudi gli occhi stai bene, se li tieni aperti  ed esci dal tuo hotel stai male..

Un’ultima domanda: che messaggio vuoi lasciare alle donne con questo secondo capitolo?

Oxana insegna a gestire la sensualità e l’indipendenza di donna giovane, alle prese con la giostra di carriera e amore, Anna è la donna madre, che si sacrifica per la famiglia e relega l’amore romantico in un angolo, ma in fondo e’ quel che accade in questa fase dell’esser donna. Entrambe imparano l’una dall’altra, e nella loro amicizia insegnano a tutte le donne a non temere di abbracciare entrambi le fasi della vita. Essere femmina ed essere madri sono entrambi lati meravigliosi dell’essere donna.

 

Melanie Francesca è una scrittrice e un’artista.  Si fa conoscere al pubblico come Melanie Alyssia Moore, facendo la showgirl a Markette condotto da Chiambretti e apparendo spesso come ospite in importanti trasmissioni e talk televisivi, quali il Maurizio Costanzo ShowSotto lo pseudonimo di Melanie Alyssia Moore pubblica 11 libri che spaziano dal romanzo alla poesia e che vantano importanti madrine letterarie, quali Nanda Pivano e Barbara Alberti.
Nel 2006 Si trasferisce a Dubai dove sposa un noto businessman emiratino da cui ha due figli. Seppellisce – come lei stessa ama ironizzare – il suo pseudonimo Melanie Alyssia Moore nella sabbia del deserto, data la severità del mondo arabo e l’importante carica del marito. Ma, con il suo temperamento irrequieto e provocatorio, non tarda a giungere a una lucida analisi della vita che si prospetta negli Emirati Arabi ad una donna occidentale e così inizia a scrivere come Melanie Francesca dei pezzi di costume su Dubai, che al di là dall’essere la “Las Vegas del mondo arabo” è anche un paese pieno di contraddizioni.
Grazie a questa esperienza, pubblica due nuovi romanzi per Cairo l’Occidentale (2017) e La donna perfetta (2018).
Circa la sua carriera artistica, dopo la maturità classica e l’Accademia di Belle Arti a Venezia, inizia a esporre a Parigi, Milano, Mosca e – sotto il patrocinio del ministro della cultura degli Emirati Arabi Nahyan bin Mubarack al Nahyan – in Medio Oriente.
Nel 2015 espone THE BOX alla galleria Pro art di Dubai, nel 2016 partecipa ad Art Dubai e nel 2017 porta la sua installazione in Kuwait, nella galleria Cap Contemporary art platform.
Melanie Francesca vive a Dubai con la sua famiglia.

Foto credits: Ufficio Stampa

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