Enrica Costa: “Ancora tanto da fare sulla dpp, ma all’estero meglio che in Italia”

enrica costa

“Le bugie secondo me sono due: se sei madre devi per forza essere felice e se non lo sei sei una cattiva madre”.

Dopo l’intervista a Deborah Papisca, oggi intervistiamo l’altra metà de l'”Oasi de le mamme”, nato come sito per parlare di maternità e (anche) di depressione post partum e da poco anche associazione culturale (qui tutte le info), che offre a Pesaro diversi servizi per le future e neo mamme. Enrica – laureata in veterinaria –  vive da alcuni anni a Irvine, in California, e prima si è divisa assieme al marito tra l’Australia e San Francisco. Mamma di due figli, ecco cosa ha raccontato della sua esperienza di mamma expat. Un grazie enorme perché in questa bella intervista ci sono tanta verità e coraggio: non una cosa da poco.

Enrica come è nata la necessità di creare assieme a Deborah  “Oasi delle mamme”?

Io e Deborah ci siamo conosciute quasi sette anni fa in rete sul forum di Nostrofiglio, dove entrambe eravamo moderatrici. Nonostante manchi il contatto fisico, la rete ti permette comunque di creare un legame profondo con alcune persone speciali. Ci si confida senza filtri perché ci si sente protetti da uno schermo e con Deborah è scattata subito una sintonia profonda data da due elementi che abbiamo in comune: la voglia di prendere la vita con ironia e l’essere passate attraverso la depressione post parto.
Dalla nostra esperienza personale e dalle cicatrici che ci portiamo dentro è nato il progetto Oasi delle Mamme.
Abbiamo entrambe sentito il bisogno di tendere una mano a tutte le mamme che faticano e lottano ogni giorno con i problemi e le difficoltà del post parto e abbiamo deciso di farlo usando l’ironia e l’empatia che ha salvato entrambe.

Tu sei una mamma che vive all’estero. Come hai vissuto le tue gravidanze lontano da casa?

Entrambe le gravidanze sono avvenute a Sydney, Australia. Il sistema sanitario pubblico, che si avvale di bravissime levatrici che lavorano in ospedale, è straordinario e l’assistenza post parto organizzata in maniera esemplare.
Tutto ciò ha compensato in parte il fatto che non avessi una famiglia accanto che mi aiutasse ad affrontare questo grande cambiamento di vita che è il diventare madre.
Nonostante l’aiuto straordinario però, dopo la nascita del mio primo figlio la depressione post parto ha colpito, mettendo a dura prova le mie capacità di recupero, di raziocinio e la mia forza di volontà.
Ho impiegato un anno prima di potermi sentire di nuovo me stessa.
Questo a mio parere significa che la depressione post parto non ha solo origine dalla mancanza di supporto pratico ma è qualcosa di profondo e complesso, capace di scardinare ogni certezza in una donna.
Pochi mesi dopo la nascita del mio secondo figlio, abbiamo lasciato l’Australia per iniziare una nuova avventura in California. In un anno abbiamo affrontato due traslochi con due bambini piccoli, uno dei quali non dormiva quasi per nulla di notte.
Lo stato emotivo e psicofisico in cui mi sono trovata, ha scatenato di nuovo una ricaduta in depressione. Forse non la posso definire propriamente depressione post parto, visto che il mio secondo figlio aveva 5 mesi quando ho cominciato a stare male, ciò nonostante il senso di totale e completo isolamento, il terrore di andare in frantumi da un momento all’altro, la voglia di farla finita e la completa disperazione in cui mi trovavo, erano elementi conosciuti, vecchi e odiati “amici” di depressione.

Secondo la tua esperienza, anche in relazione alla realtà internazionale che hai vissuto e vivi, come si parla di maternità fuori dall’Italia? Negli Stati Uniti dove attualmente abiti come si affronta il tema della depressione post partum?

Prima di lasciare l’Italia della depressione post parto non sapevo quasi nulla se non che si trattava di qualche esotico e raro disturbo di cui non si parlava più di tanto, perché in ogni caso era raro, appunto.
Ricordo che una delle prime chiacchierate con la levatrice in ospedale a Sydney è stata proprio tutta dedicata alla depressione. La levatrice, seguendo il protocollo indicato dal sistema sanitario, mi ha tenuta quasi un’ora a parlare della mia vita e di eventuali esperienze traumatiche passate.

Dopo il parto ho fatto anche dei test per valutare il grado di depressione che potevo avere. Per quanto questi test fossero fatti con ogni buon intento, ricordo perfettamente di aver mentito rispondendo ad ogni domanda riguardante lo stato di felicità che provavo e se piangevo oppure no.
Nonostante l’attenzione dimostrata nei confronti del problema, io mi portavo dietro un senso di vergogna per i sentimenti che sentivo e in qualche modo ho dissimulato, nascondendo lo stato che provavo.
In USA, per quanto mi è stato dato di capire, l’approccio principale è medico, ossia prescrizione di antidepressivi di ogni tipo.
La terapia attraverso medicazione è di gran lunga preferita rispetto a quella di supporto psicologico, nonostante quest’ultima sia comunque a disposizione in molti ospedali.
Negli USA la questione più delicata è la copertura assicurativa sanitaria: le assicurazioni spesso coprono più facilmente le medicine invece che la seduta dallo psicologo e quindi sia medici che pazienti tendono a preferire una pillola antidepressiva piuttosto di sedute lunghe e spesso dolorose dallo psicologo.
Sia in Australia che in USA il problema c’è e non sempre viene affrontato con efficacia, però l’impressione generale è che se ne parli molto di più che in Italia.

Molto spesso le mamme fanno fatica ad ammettere di non essere appunto felici in un periodo della vita che tutti considerano gioioso. Tu come l’hai vissuto?

Come ho accennato prima ho passato questa fase e per mesi ho mentito, mascherato il dolore, la tristezza e la vergogna di non provare la gioia che altre mamme vivevano.
Penso che la vergogna e la paura di essere giudicata una cattiva madre, siano stati due elementi che hanno inciso maggiormente nel mio lento e doloroso recupero.
Non riuscire ad accettare la realtà della depressione, ti impedisce di chiedere aiuto.

Qual è la più grossa bugia legata alla maternità?

Che automaticamente diventi l’essere più felice al mondo. Non che non capiti, anzi! Moltissime mamme sono più felici quando finalmente tengono tra le loro braccia il proprio figlio. Ma non è scontato.
E soprattutto il non essere felici, il non sentire la connessione con la propria creatura, il voler scappare da tutto e da tutti non sono sentimenti che definiscono la donna in quanto tale o come madre. Sono sentimenti dati da un disturbo profondo, da un conflitto a volte grave che però può essere curato.
Le bugie secondo me sono due: se sei madre devi per forza essere felice e se non lo sei sei una cattiva madre.

Secondo te cosa si può fare da un punto di vista preventivo per combattere la depressione post partum?

Parlarne, parlarne, parlarne. Non solo professionisti in ospedale o nei corsi pre parto, ma anche e soprattutto altre mamme che ci sono passate, come stiamo facendo io e Deborah.
Le mamme devono condividere con empatia e compassione la loro esperienza, devono incoraggiare le future mamme a non aver paura, le devono spingere ad informarsi e soprattutto devono distruggere quel muro di omertà e giudizio che esiste attorno alla figura della mamma.
E soprattutto le mamme devono imparare a ridere, a sbellicarsi dalle risate fino ad avere le lacrime agli occhi e l’Oasi delle Mamme crede nella terapia della risata.

Si può guarire dalla depressione post partum? E tu come hai fatto?

Si si può e si deve! Quello che ha aiutato me è stata la vicinanza con altre mamme, la condivisione dei problemi, delle emozioni, delle paure. La rete di solidarietà che le mamme possono creare è una zattera di salvataggio in un mare in burrasca e la risata è lo squarcio tra le nubi che fa uscire il sole. Solidarietà e risata sono l’Oasi delle Mamme.

Foto credits: da Facebook 

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