Marilde Trinchero: “Cominciamo noi donne a rompere i tabù sulla maternità”

marilde trinchero

‘Cominciare noi per prime a rompere dei tabù. Imparare a dire no. No a un modello di madre troppo stretto che rischia di ingabbiare e soffocare’.

Marilde Trinchero fa un lavoro bellissimo: l’arteterapeuta. Però ha anche una capacità: quella di rendere con la sua scrittura l’esatto stato d’animo delle mamme. Consiglio a tutte La Solitudine delle Madri: è un libro che ogni donna – senza figli, incinta, neo genitrice – dovrebbe leggere.  Mentre ero incinta ho comprato diversi manuali, ma penso che per quanto una legga non sia preparata abbastanza a ciò che sta per succederle, nel bene e nel male. Fondamentalmente questo libro di Marilde  – che ho ‘divorato’ quando Paola aveva 10 mesi – è stato una delle poche letture che mi hanno lasciato una sensazione piacevole: quella della verità.

Marilde, le mamme di oggi sono davvero così sole?

Non tutte, certo, ma indubbiamente numerose lo sono. Pur essendo i padri più presenti che in passato, si è ancora lontano da un’equa suddivisione dell’impegno richiesto dalla genitorialità. Inoltre l’esistenza o meno di una rete familiare disponibile, specie nei primi anni di vita, costituisce una grossa differenza tra i vari livelli di solitudine che si possono sperimentare. A volte, avere amici che diventano genitori nello stesso periodo può essere molto utile per condividere ansie e inadeguatezze fisiologiche di un evento che comporta cambiamenti corposi della quotidianità. Esiste anche un nucleo di solitudine in ogni maternità, una solitudine sana, che non va combattuta ma accettata, la solitudine di vivere un evento che ciascuno di noi attraversa con caratteristiche soggettive che non possono essere totalmente condivise. Una solitudine che fa crescere. Ma, al di là di quel nucleo, una donna quando diventa madre avrebbe bisogno di condividere l’impegno concreto ed emotivo con più persone di quelle che di solito sono presenti.

Secondo te perché lo stereotipo della mamma “santa”, che tutto – o quasi – sacrifica per i figli è ancora così duro a morire?

Perché ha origini antiche, e modificare qualcosa di così radicato nei pensieri, nelle immagini, nel sentire profondo, nelle narrazioni in generale, richiede e richiederà ancora lungo tempo. Inoltre, la crisi economica e la carenza di lavoro favoriscono il “ritorno a casa” delle donne che diventano madri. Non è inconsueta la frase “così si può dedicare alla famiglia”. Si è troppo spesso dimentichi  che una donna che investe tutte le sue energie sulla maternità, privandosi di altre importanti parti di sé che la renderebbero più completa, rischia di creare un carico pesante per i figli.

Perché alcune conseguenze negative della maternità, come ad esempio la depressione post partum, sono ancora tabù e perché proprio le donne fanno così fatica a parlarne? Te lo chiedo perché quando io parlo della mia esperienza di mamma con la depressione post partum ho come l’impressione che sia una cosa risaputa, ma che “non si deve dire” anche da parte di chi ne ha sofferto.

La depressione in generale è ancora per tante persone considerata non una malattia da curare, ma qualcosa da nascondere. Naturalmente questo fatto complica le cose poiché si tende a non intervenire con la tempestività con la quale ci si cura per un’altra malattia. Fino a pochi decenni fa credo che l’eco dei manicomi del passato abbia influito sul bisogno di nascondere malesseri che avevano condotto persone in luoghi tragici, negli ultimi decenni invece temo abbia avuto un peso consistente il mito della prestazione, della forza, dell’eccellenza in ogni campo, che mal si adattano alle inevitabili fragilità della vita. E durante i primi tempi della nascita di un figlio, la  mancanza di sonno, i ritmi serrati, le nuove abitudini, le inevitabili ansie, certo che ci rendono vulnerabili!

Secondo la tua esperienza, quali sono le problematiche che maggiormente vengono portate dalle donne che fanno fatica a vivere il ruolo di madri?

Per le donne che lavorano, la carenza o l’assenza di flessibilità degli orari è un punto dolente, che spesso trasforma il quotidiano in un gioco ad incastri. Tenendo conto del fatto che, di questi tempi, avere un lavoro non è affatto scontato. Oppure donne che possono scegliere e scelgono di non lavorare e che devono in qualche modo giustificarsi. La pubblicità della donna che lavora, che è ottima madre, che coltiva tempo per sé, sempre curata e sorridente, etc…continua a produrre dubbi e danni.

Secondo te quali sono le maggiori bugie che vengono dette ancora oggi sulla maternità?

“Se sei madre sei felice sempre, se non sei madre non puoi capire, le madri amano tutti i figli allo stesso modo, un figlio unisce la coppia” sono solo alcune delle incredibili banalità che si possono sentire. Banalità che tradiscono la bellezza della complessità di un’esperienza che, come ogni altra, contiene aspetti sia positivi che negativi.

In che cosa consiste il lavoro di arteterapia che svolgi con le mamme?

Durante la gravidanza e i primi mesi dopo la nascita di un figlio, ogni donna sperimenta inedite sensazioni fisiche e psichiche e si avventura in un territorio carico di emozioni potenti che coinvolgono tanto la trasformazione del corpo quanto la percezione di sé in quanto donna. E’ una madre in divenire. A volte prevalgono la gioia, il benessere e la sensazione di forza, altre volte invece la paura, l’ambivalenza, i dubbi.  Quel che di solito accade, è che coesistono stati d’animo contrapposti che riguardano sia le donne in gravidanza che quelle che hanno già partorito. In un laboratorio di arte terapia si creano immagini con le quali si riflette sui molteplici aspetti del materno. La prima funzione dunque è quella di poter rappresentare, dare forma, condividere,  attraverso i materiali, come soggettivamente si vive la maternità. Rappresentando dunque si può vedere e far vedere, e in seguito trasformare. Funzione fondamentale su un tema che più ancora di altri soffre di pochi modelli stereotipati. E poter dire ad alta voce ciò che viene spesso taciuto è oltremodo liberatorio e rende ancora più feconda quella fase della vita in un cui avviene non solo la gestazione di un figlio, ma una nuova gestazione di sé.

E visto che lavori con le immagini, secondo te che ruolo hanno le immagini proposte dai media dove le donne dello spettacolo mostrano il loro corpo perfetto a pochi giorni dal parto (quasi a voler negare la trasformazione legata alla gravidanza) nell’insorgenza di alcune “conseguenze” come la depressione post partum?

La risposta come sempre è soggettiva e la strada che conduce alla malattia non può naturalmente essere generalizzabile. Uno stimolo esterno non realistico come la trasmissione televisiva nella quale una donna dello spettacolo che a due settimane dal parto sfila in passerella può essere per una donna motivo di faticoso confronto e per un’altra un buon motivo per scrivere sul suo blog un articolo di fuoco contro determinati modelli. Certo la distanza dalla realtà con la quale viene narrata la maternità in alcuni programmi o riviste raggiunge livelli che hanno del ridicolo. Il problema sorge quando il livello di consapevolezza delle persone non è sufficiente a cogliere l’irrealtà del messaggio. Per questo ritengo utile il lavoro che blog e social network hanno fatto e stanno facendo in questi anni. Una narrazione della maternità più aderente al reale.

In conclusione: cosa dovrebbero fare le mamme per essere meno sole?

Non aver timore di chiedere. Che si tratti di sostegno pratico e/o emotivo. Chiedere a chi è vicino e se chi è vicino non sente (succede più spesso di quanto immaginiamo) chiedere un po’ più lontano. Cominciare noi per prime a rompere dei tabù. Imparare a dire no. No a un modello di madre troppo stretto che rischia di ingabbiare e soffocare. Mentre si cresce un figlio si cresce se stessi e madri si diventa attraverso inciampi, apprendimenti, dubbi, errori, richieste di aiuto. Madri si diventa con un padre al fianco che nel frattempo compie lo stesso percorso, con dei nonni che sanno sostenere senza essere invadenti, con politiche sociali che forniscono supporti adeguati in una  fase della vita che può essere molto bella ma che è sicuramente impegnativa.

Foto credits: dal web 

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