“Ritratti di pancia”: quando la ferita del cesareo diventa un’opera d’arte

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Ho intervistato Gisella Congia in occasione del suo lavoro intitolato Chiaroscuri nella maternità, un progetto fotografico nato nel 2011  in cui  ha fotografato 25 donne nella loro quotidianità di mamme, cercando di indagare senza filtri la vera essenza della maternità, che come sappiamo spesso è un’immagine anni luce lontano dalla realtà.

Ora Gisella è ripartita con un nuovo lavoro, prodotto dall’associazione L’Eptacordio e con la collaborazione de www.oasidellemamme.it: Ritratti di Pancia – Storie di Cesarei e di Ferite Emotive, che appunto mira a parlare della cicatrice lasciata dal parto. Io stessa ne ho avuti due e devo dire che la mia ferita l’ho vissuta in maniera diversa (in che modo lo vedrete alla fine di questo post). Ci sono donne però che si sentono sconfitte dal non aver partorito naturalmente, che non si capacitano di non esserci riuscite e che si sentono in colpa. Questo progetto – definito giustamente da Gisella “sociale” – squarcia il velo dell’omertà che spesso si cela dietro la parola “cesareo”. Lascio a lei la presentazione di Ritratti di Pancia. E grazie Gisella, perché le tue foto aiuteranno tante di noi.

“Ho impiegato un attimo per innamorarmi dell’idea di parlare di quei vissuti di dolore celati dietro un taglio cesareo….ho impiegato un anno per trovare la forma e la delicatezza col quale trattarli.

Qualche anno fa il mio percorso sulla maternità mi ha portato a lavorare con un gruppo di donne che avevano avuto l’esperienza del taglio cesareo. Ciò che le accomunava era un profondo dolore emotivo per quell’esperienza, “la ferita nell’anima” la chiamavamo. Io, donna che aveva partorito naturalmente, fino a quel momento non mi ero mai fermata a riflettere su questa possibilità. Il taglio cesareo, a secondo di come è vissuto, può lasciare un profondo solco nel quale si annidano svariati sentimenti: incompletezza… sensi di colpa… incapacità… rabbia… perdono…

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Di fronte al privilegio di poter ascoltare quei vissuti e comprenderli come un altro risvolto nel vissuto materno di una donna, ho sentito il forte impulso di dare voce a quelle esperienze, una voce che potesse risuonare fuori da quello spazio protetto in cui queste donne “confessavano” i loro sentimenti.

Ci sono aspetti delle nostre esperienze emotive che necessitano di essere condivisi, legittimati e accolti per poter sciogliere conflitti interiori. Alle volte basterebbe levare il velo del silenzio, spesso imposto dalla retorica sociale (come quello del “che importanza ha se hai fatto un cesareo, l’importante è che il bambino sia sano…”), per non trasformare il silenzio in disagio personale e tabù sociale. Qualcosa di cui non si parla per non sentirsi fuori dal coro.

Ritratti di Pancia mette insieme singole voci per farle sentire meno sole, meno isolate nel loro inconfessabile dolore e farle diventare, a loro volta, un coro. E’ un lavoro che mira a liberare l’esperienza di queste donne da quel velo di silenzio che le costringe nel quotidiano e raccontare al mondo che anche se quel bimbo è perfetto, amato, desiderato, quel taglio brucia e ferisce, non solo nella pancia, ma anche in altre parti dell’Essere.

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Viviamo in un contesto culturale che ha radicato una figura materna con caratteristiche cristallizzate, incapace di contemplare aspetti emotivi diversamente connotati rispetto allo stereotipo della madre idillica. Emozioni che non posso essere raccontate con naturalezza, senza suscitare scalpore, indignazione, giudizio. Io mi appassiono a questi temi e cerco di metterli a nudo attraverso l’immagine fotografica, sperando di avere sempre la giusta cura delle esperienze che mi vengono offerte.
Lo scopo di questo lavoro è di arrivare alle donne cesarizzate, e oltre loro: ai vicini di casa, ai mariti, alle madri, agli amici di quelle donne. Se tale sensibilizzazione farà sì che una sola di queste persone di fronte a un taglio cesareo chieda serenamente alla madre come si sente e ne ascolti il vissuto, sarà per me un grande risultato.

Ritratti di pancia è un progetto iniziato con un open call nella quale ho chiesto alle mamme di inviarmi pensieri e autoscatti dei loro tagli cesarei, coinvolgendo donne da tutta Italia. Il lavoro si è poi sviluppato con l’incontro personale con le protagoniste fotografiche di questo lavoro nonché portatrici di preziosi bagagli emotivi.

L’aspetto che ho trovato più complesso nel realizzare questa ricerca è stato quello di produrre un lavoro che non risultasse un atto di denuncia verso il cesareo, ma una condivisione di esperienze a sostegno delle donne che hanno affrontato questo tipo di intervento chirurgico a considerarsi mamme a tutto tondo. Avendo peraltro estrema cura nell’uso e presentazione dei corpi nudi che le donne mi avevano “affidato”.

Il progetto finale si presenta come una serie fotografica che trova, in realtà, la sua più completa esposizione in una produzione video dall’omonimo titolo, nel quale testimonianze sonore e suoni arricchiscono le suggestioni che il lavoro vuole creare.

Ecco il link del progetto con il promo di presentazione:

http://www.gisellacongia.com/#!ritratti-di-pancia/tr1zf

Ho partecipato anch’io al progetto ed ecco la mia ferita, che ringrazio, perché sono viva e un’altra. Forse migliore, forse no, ma sicuramente più consapevole.

Ritratti di pancia cesareo

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6 comments

  1. Erika

    Cara Valentina, anche io sono cesarizzata, tre volte.
    Non ho provato una sensazione di sconfitta, ma ho sentito che quel taglio ci aveva privati del legame fra il prima e il dopo. Mi mancava una sensazione di appartenenza verso il figlio che era nato. Diverso è stato per i figli che sono nati naturalmente, figli che non ho mai vissuto fuori dal mio grembo, poiché morti prima di venire al mondo.
    Mi è capitato di pubblicare uno stralcio della mia esperienza in cui esprimevo queste sensazioni contrastanti e ho ricevuto un messaggio piuttosto infastidito da parte di una mamma adottiva: come mi permettevo io di dire che i figli cresciuti nel mio grembo non mi appartenevano perché nati da un cesareo? Che cura avevo di tutte le mamme diventate mamme in tanti e altri modi?
    Perciò è vero, la maternità non solo è idealizzata e costretta in strutture che ne prevedono contorni privi di sbavature, ma vive anche i vari e diversi stati emotivi personali di ognuna di noi. E’ difficile discostarsi dal proprio vissuto e accettare le difficoltà altrui, difficile accettare che siamo tutte madri, ma ognuna differente dall’altra… E’ diffcile saperci accogliere nelle nostre peculiarità senza metterci a confronto e sentirci costantemente inadeguate.
    Smontare i tanti, troppi tabu della maternità è fondamentale per poterci sentire tutte più adeguate e anche più accoglienti le une con le altre.

    http://www.professionemamma.net/e-mamma-fu/

    • Valentina Colmi

      Erika, tu fai una riflessione molto profonda sulla maternità. Una riflessione che è frutto del tuo vissuto personale che in qualche modo ti ha fatto pensare ancor di più alla fatidica domanda: “che cosa vuol dire essere mamma?”. Hai ragione: esistono tanti modi per esserlo, però – chissà perché – si è sempre più madri se si partorisce naturalmente, se si allatta, se si è felici e se non si parla di tanti temi che riguardano la maternità, come tento di fare qui io e come tenti di fare tu.

      • Erika

        Hai proprio ragione!
        La madre vera e completa è quell’icona di perfezione che ci ‘vendono’. Lei partorisce naturalmente, allatta al seno senza problemi e con gioia, torna in linea il giorno dopo… anzi, non l’ha mai persa! Dorme ogni notte perché ha ‘insegnato’ a suo figlio a dormire nel proprio letto 8 ore filate. E potrei andare avanti ancora!
        Poi c’è la vita vera….
        Per questo non dobbiamo smettere di raccontarla!
        Metti che l’icona si umanizzi…. non sarebbe male

        • Valentina Colmi

          Purtroppo però molte mamme pensano che sia quello il modo per giusto per esserlo e si sentono in colpa se non riescono a rispettare questo modello che resiste.

  2. Mariantonietta

    Ciao a tutte! Devo ammettere che ho un punto di vista positivo sul cesareo, anche se per me, è stata una penosa esperienza dal punto di vista medico. Io non l’ho mai vissuto come una sconfitta né ho sentito venir meno il mio legame con mia figlia. Ho sofferto così tanto, che alla fine ci sono pure rimasta male per l”invisibilità della cicatrice. Il medico continuava a tranquillizzarmi che non si sarebbe vista sotto il costume da bagno, ma a me sinceramente non importava. Sono fiera della mia cicatrice. Un intervento chirurgico per dare la vita al proprio figlio è una gran cosa. Questo secondo me vale anche per chi ha avuto un cesareo senza dolori. Insomma, dare la vita ci rende madri a prescindere dal come. Una mia cara amica sta per adottare, dopo tante traversie; un’altra ha fatto ricorso alla fecondazione artificiale. Importa davvero come viene concepito e partorito un bambino o importa piuttosto il fatto che stiamo creando uno spazio per lui, che stiamo per stravolgere la nostra vita per questo frugoletto?
    Io penso che siamo tutte mamme dello stesso valore.
    E penso che i nostri pargoletti lo sappiano benissimo.
    È ora che noi donne per prime cessiamo questa costante rivalità a chi è più mamma ed è anche ora che cominciamo a rifiutare in modo determinato queste definizioni che ci massacrano e ci portano a volerci meno bene (prendiamo ad esempio allattamento al seno/allattamento al biberon; parto con epidurale/parto senza epidurale; parto in casa/parto in ospedale).

    Su, diamoci una pacca sulla spalla, porca paletta: è ora di premiarci per i nostri sacrifici e di lodarci per il nostro impegno e per i nostri sogni 😀

    • Valentina Colmi

      Su, diamoci una pacca sulla spalla, porca paletta: è ora di premiarci per i nostri sacrifici e di lodarci per il nostro impegno e per i nostri sogni

      Barbara, hai detto giusto! Io stessa non me ne sono fatta mai un particolare cruccio, tranne che dopo il primo parto, ma solo perché non sapevo nulla e pensavo che quanto detto nel corso pre parto fosse il vangelo. Sinceramente non sono per il parto naturale a tutti costi, se serve il cesareo che si faccia. Io penso che – come in tutte le cose – sia l’aspetto mentale a contare. Per dire: dal secondo cesareo mi sono ripresa benissimo, meglio del primo perché ero più consapevole. E hai ragione: non importa come si diventa madri, importa come lo si fa tutti i giorni per tutta la nostra vita.

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