Depressione post partum: perché quelli che hai attorno non capiscono

Paola

Avere la depressione post partum non è un marchio. Semplicemente fa parte di te. Eppure a volte, persino la tua famiglia non capisce fino in fondo che cosa hai passato. Io non voglio dimenticare i giorni difficili, né il percorso che ho fatto per arrivare fino ad oggi. Ovviamente non ci penso costantemente, ma tengo ben presente chi sono e cosa è stato.

Chi mi sta intorno – forse nella speranza che tutto torni alla normalità – a volte prova un senso di fastidio quando parlo della malattia. Quasi come se non la si dovesse nominare. Sto ancora andando in terapia e non ho alcuna intenzione di abbandonare, ma mi sento continuamente chiedere: “Ancora vai al Niguarda? Ma non hai ancora finito?”.

Cosa vuole dire “avere finito”? A volte mi colpisce questa mancanza di tatto. Come se ciò che ho avuto visto che ormai è il passato ormai fosse un capitolo chiuso.  Oppure “come sta la tua strizzacervelli?“. Mi pare che si stia sminuendo il lavoro interiore che sto compiendo. Sto facendo fatica, a volte esco spossata dalla seduta perché non è semplice e chi opera in questo ambito o ha compiuto un percorso psicologico lo sa.

Non ho più la depressione post partum, ma sarò per sempre mamma. E m’interrogo continuamente su che cosa significhi questo ruolo, su come il mio atteggiamento verso la vita sarà assorbito dalle mie figlie. E sì, ho bisogno della terapia perché mi aiuta a capirmi meglio e a non riversare il mio vissuto su Paola e Vittoria.

Per esempio in questi giorni stiamo visitando degli asili per iscrivere Paola alla scuola dell’infanzia e io non mi sento bene. Mi fa letteralmente paura il pensiero di lasciarla andare. Per carità, so che molte mamme si sentono così, ma in questi momenti scatta in me quella sorta di debito che ho nei suoi confronti. Per me stare con lei non è mai abbastanza, perché non è mia figlia ad avere bisogno di sua madre, ma il contrario. Non voglio che si senta abbandonata come mi sentivo io. E per capire che cosa ci sta dietro, devo ancora lavorarci.

Foto credits: post-partum.it

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4 comments

  1. Maria

    Un grande classico, cara Valentina. Io ci vedo soprattutto tre ragioni, ma ce ne sono anche altre. Innanzitutto il disagio emotivo fa molta paura, specialmente quando lo si vede da vicino. Sminuire, deridere e dipingere a tinte grottesche serve a convincersi che tanto io sono più forte e a me non succederà mai di star male come stai tu, io sono muscoloso e possente, l’infelicità abissale e il lato oscuro li stritolo nel pugno. La seconda, e contigua, motivazione è che chi ti sta accanto si sente in colpa per il tuo disagio. In alcuni casi (secondo me non in tutti) ne ha anche motivo, perché le dinamiche familiari possono giocare un ruolo fondamentale nella genesi e nella cura della depressione. Negare la realtà, la serietà, la gravità della condizione psichica della neomamma serve a deresponsabilizzarsi, ad assolversi, e anche a chiamarsi fuori da eventuali richieste di aiuto. Infine, la DPP è tabù, è ancora fonte di stigma sociale e di etichettature impietose, che la famiglia teme; ma questa situazione migliorerà grazie alle persone coraggiose come te, che ci mettono la faccia dimostrando coraggio, consapevolezza ed equilibrio.

    • Valentina Colmi

      Penso che tu abbia centrato in pieno tutte e tre le questioni, Maria.

      • Maria

        Tu giustamente in questo blog parli di necessità di informare, e anche di avvertire, di mettere in guardia le future mamme, in modo che non arrivino impreparate. Mi trovi molto d’accordo. Nei corsi pre parto, oltre che di tinture alla calendula, ingorghi mammari e pannolini lavabili, bisognerebbe affrontare serenamente anche il discorso tristezza, disagio, infelicità… ma sul tema siamo ancora indietro! Oggi ho commentato su un forum sulla gravidanza (sono incinta ma già madre). Ho risposto a una user incinta, che chiedeva consigli su come prepararsi per il post parto. Sui problemi fisici mi sembrava preparatissima: ma parlava solo di quelli, come se non ci fosse altro. Le ho detto che era molto preparata e ho menzionato anche la possibilità di stare male, genericamente, senza usare etichette cliniche che non mi competono, e il possibile bisogno di dormire, di staccare, di una mamma/sorella/suocera/babysitter notturna, e le ho detto anche che si tratta di situazioni molto frequenti, che non hanno nulla a che vedere con quanto “brave” si è come madri. Tanto è bastato per farmi bollare come troll. Soprattutto l’idea che una neomamma possa aver bisogno di staccare dal bambino per colpa della tristezza, non è considerata accettabile. La mia risposta è sparita… la ragazza incinta molto probabilmente non l’ha vista. Sigh. Ce n’è del lavoro da fare…

        • Valentina Colmi

          Ecco Maria, vedi? Mi fanno una rabbia queste cose! Soprattutto perché sono le mamme stesse a non essere solidali tra loro.Tu poi che sei già madre dovresti essere ascoltata. Eppure in un Paese come il nostro dove l’iconografia della (ma)donna col bambino, come si fa a dire: “eh, verrà il momento in cui vorrai scappare lontano?”. Io ne ho scritto qui http://www.post-partum.it/senza-categoria/non-e-vero-che-le-madri-lo-sanno/ dimmi cosa ne pensi:)

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