Luca Maragno: “Futuri papà state sereni”

Luca Maragno

‘Pensavo che sarei stato un pessimo padre, perché ho sempre avuto poca confidenza con i bambini. Mi sono posto in maniera molto neutrale di fronte all’esperienza paterna: non aspettavo da me stesso di volere bene “per forza” ai miei figli. Poi è successo che mi sono innamorato dei miei figli, come penso capiti a tutti. Ma è avvenuto col tempo. All’inizio, anzi, gli infanti mi fanno anche un po’ impressione, figli compresi, sono così “incompleti” e fragili appena sono nati’.

Luca Maragno, giornalista, è Direttore Editoriale sia del sito sia della rivista bestmovie.it, il mensile di cinema più venduta d’Italia. Anche autore e appassionato di videogiochi – dal 1995 al 2005 ha diretto Trade Interactive Multimedia, una rivista di settore sul mercato dei videogiochi in Italia – è attualmente anche Direttore Editoriale del sito e della rivista Youtech e Direttore Editoriale di movieforkids.it.  

E’ il papà di Marco, 5 anni, e Alessandro, 1 anno, i quali, dice, “ci stanno insegnando un sacco di cose”.  Se la depressione post partum colpisce anche i papà, ecco invece come Luca ha affrontato questa nuova esperienza da genitore, a partire da un monologo molto interessante (e terribilmente vero), che è apparso sul blog “Altrimenti ci figliamo” (http://paperproject.it/lucamaragno/). 

 Luca, una domanda di rito: che papà ti aspettavi di essere quando la tua compagna era incinta e com’è essere papà per davvero?

Non avevo aspettative particolari. Anzi, pensavo che sarei stato un pessimo padre, perché ho sempre avuto poca confidenza con i bambini. Mi sono posto in maniera molto neutrale di fronte all’esperienza paterna: non aspettavo da me stesso di volere bene “per forza” ai miei figli. Pensavo di voler essere molto naturale, come di solito mi pongo di fronte alle cose del mondo: se li avessi voluto bene, meglio. Ma avrei trovato un modo di partecipare anche senza volere loro bene in modo particolare. Non vorrei essere frainteso, intendo dire, con queste parole, che non mi andava di essere stereotipato a tutti i costi in un modello preconfezionato. Mi sono posto in maniera “neutra” perché i sentimenti fossero poi autentici, e non veicolati da un “modo d’essere” a cui tutti si uniformano. Poi è successo che mi sono innamorato dei miei figli, come penso capiti a tutti. Ma è avvenuto col tempo. All’inizio, anzi, gli infanti mi fanno anche un po’ impressione, figli compresi, sono così “incompleti” e fragili appena sono nati.

Dati gli ultimi terribili fatti di cronaca di Motta Visconti, il tuo monologo “Effetto Franzoni”  è incredibilmente calzante. Solo che a commettere un omicidio è stato un papà. Si parla, ancora poco a dire il vero, dello sconvolgimento che la maternità può portare ad una donna, ma quasi niente sull’impatto emotivo che avere un figlio ha sui padri: le ultime ricerche hanno infatti stabilito che la depressione post partum può colpire anche gli uomini. Secondo te perché non lo si racconta?

Non saprei neanche dire se è vero che non lo si racconta. Non mi sono informato a proposito, ma oggigiorno qualunque tipo di informazione mi sembra molto accessibile. Penso che basti googlare “depressione post partum” per trovare un sacco di documentazione. In che senso, quindi, “non lo si racconta”? Nel senso che non è una percezione che arriva alle coppie prima dell’arrivo del figlio? Sì, forse ripensando al nostro percorso ci sono state delle occasioni di confronto con medici, ostetriche e altri genitori che avrebbero potuto avvisarci del pericolo.

Sempre nel monologo “Effetto Franzoni” tu dici: “Quei momenti lì, quelli dove sta per arrivare l’”effetto Franzoni”, come lo chiamo io, sono anche quelli che più ti insegnano la magia della vita. Quelli dove capisci che tuo figlio appena nato sta già dandoti grandi lezioni. Non hai dormito per mesi, sei uno straccio, un fantasma, lo spettro di te stesso, non sei più riuscito a fare nulla, se non sopravvivere. Quando, insomma, arrivi al punto in cui pensi di non avere più forze, che «oltre non posso andare, non ce la faccio più», quando arrivi lì, scopri che invece ce la puoi fare ancora, che puoi andare oltre. Che DEVI andare oltre, perché loro non hanno che te. Muoiono, se non li aiuti. Quindi capisci che o morirete in due o ce la farete in due. E allora vai oltre e sposti il limite”. Secondo te o genitori in attesa del primo figlio dovrebbero saperle queste cose, oppure non è il caso di turbare la loro felicità  raccontando degli aspetti negativi dell’essere genitori?

Direi che tutti dovrebbero leggere il mio post sull’effetto Franzoni! 🙂 A parte gli scherzi, lo hanno letto anche donne incinta del loro primo figlio che mi hanno scritto, ma lo scambio è sempre stato molto ironico, perché l’argomento viene affrontato in quel modo nell’articolo, sebbene sia una questione molto seria. Direi che avere delle informazioni in più non fa mai male, ma è vero anche che è un’esperienza a cui è difficile arrivare preparati. Ed è bella anche per questo aspetto.

Avevate frequentato il corso pre parto? Vi è tornato utile?

Sì, ma per me è stato completamente inutile, infatti per il secondo figlio non lo abbiamo fatto. Però faceva parte di quelle esperienze che penso abbiano contribuito a fare sentire in qualche modo più al sicuro la mia compagna.

E’ cambiato secondo te il ruolo del padre all’interno del progetto di genitorialità?

E’ cambiato rispetto a quando? In generale mi sembra che la percezione sia che i padri siano molto più partecipi di un tempo e si portano esempi come “adesso cambiano i pannolini” e altre sciocchezze del genere. Non credo che un padre sia più presente nella vita di un figlio perché gli cambia i pannolini. Se vai ai giardinetti il pomeriggio alle 16, trovi le mamme o le tate che curano i bambini, non i padri. Intendo dire, insomma, che il nucleo familiare ha degli equilibri secolari che mutano leggermente, ma che sono sostanzialmente identici nel tempo. I grandi cambiamenti nel sistema familiare sono avvenuti col passaggio della vita rurale all’era industriale che stiamo vivendo: una volta si viveva tutti insieme in famiglie che comprendevano anche i nonni anziani e i nuovi arrivati e c’era sempre qualcuno a disposizione per occuparsi di vecchi e giovani. Oggi invece siamo più soli, con gli anziani abbandonati a loro stessi e i bambini affidati a tate o a orari scolastici prolungati. Questo credo sia un grande cambiamento sul quale occorre riflettere.

L’ultima domanda: c’è qualcosa che vorresti dire ad un futuro papà che avresti voluto avessero detto a te e che invece hai scoperto da solo?

Il miglior consiglio che mi viene in mente è quello di stare sereni. La paternità è un’esperienza “forte”, nel senso che più di tante altre cose insegna molto di noi, aiuta a comprenderci perché solo quando ci confrontiamo con la realtà capiamo davvero chi siamo e un bambino è un terremoto nella nostra realtà quotidiana. Dobbiamo trovare il coraggio di vedere chi siamo ed essere sereni anche di fronte alle nostre debolezze e imperfezioni. Cercare di essere altro da quello che siamo è il primo passo per creare dei cortocircuiti che ci fanno stare a disagio e fanno male anche alle persone che ci circondano.

Foto credits: Luca Maragno via paperproject.it 

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