Katiuscia Bonato, L’HO USCITO IO! ( MAMY BLUES ): perché della depressione post partum si può parlare anche col sorriso

Katiuscia Bonato L'ho uscito io!

Katiuscia Bonato è un’attrice bravissima. Ha tanta esperienza alle spalle, ma l’ho conosciuta – per caso come tutte le cose migliori della vita – grazie al suo spettacolo che parla di maternità e di depressione post partum. Sono contenta che anche il mondo dell’arte affronti un tema così difficile: non sempre si è pronti ad accoglierlo, ma per fortuna Katiuscia è riuscita ad entrare nel cuore del suo pubblico. Ecco quello che mi ha raccontato.

Katiuscia, come sei arrivata alla decisione di scrivere uno spettacolo che parla di maternità e di depressione post partum?

La mia storia comincia qualche anno fa quando io e il mio compagno decidemmo di mettere al mondo un bambino. Fu una decisione ponderata per quanto scaturita da un forte desiderio di entrambi. Dico ponderata perchè non ti sembra mai che sia il momento giusto e che le condizioni economico-lavorative siano ottimali. Così un giorno dopo esserci detti : “Se aspettiamo il momento giusto, non arriverà mai”, abbiamo deciso con grande entusiasmo ed un pizzico di incoscienza, di mettere  in “cantiere” questo desideratissimo figlio.

Dopo i primi tentativi, 6 mesi circa, abbiamo subito capito che avere un figlio non era poi così automatico e a ben poco valeva la frase che spesso i miei genitori mi ripetevano: “da oggi sei signorina, ricordati che basta una volta e resti incinta per sempre!”.

Passarono così ben 2 anni a provare e a riprovare in tutti i modi, in tutte le posizioni, freneticamente, meccanicamente ….sentendoci dire in alcuni casi che eravamo noi la causa dell’insuccesso, perché non c’era nessun problema fisico, forse non lo desideravamo abbastanza!

Finché un giorno, quando tutte le speranze erano perdute e già pensavamo di ricorrere alla PMA ( procreazione medicalmente assistita) , la famigerata seconda lineetta del test di gravidanza, quella  che separa te e il tuo compagno dal desiderio di diventare genitori, finalmente comparve.

Dopo 2 anni interminabili di tentativi,  paure, dubbi, tensioni, finalmente era arrivato anche il nostro momento, quello che entrambi aspettavamo come la cosa più importante del mondo.

La gravidanza fu perfetta. Nove mesi senza nessun tipo di difficoltà o problema, per fortuna.

Poi finalmente , il parto, il momento tanto atteso in cui avrei potuto guardare negli occhi quell’ esserino che sentivo muovere dentro di me .

Fu un parto lungo, difficile, doloroso…certo mi avevano preparata al corso pre-parto, ma non pensavo che avrei sofferto così, non riuscivo ad accettarlo, l’avevo subìto più che vissuto.….mi fecero anche l’episiotomia, nonostante nei mesi precedenti mi fossi preparata perché il mio perineo fosse perfetto ed elastico!

Poi ci fu il rientro a casa, dopo un paio di giorni….

E lì il cambio repentino della mia vita, della nostra vita, con una velocità che va da 0 a 100 in un nanosecondo, così senza il tempo di pensare, senza il tempo di riprendermi o di capire quello che mi era accaduto.

Ci ritrovammo dall’oggi al domani rispediti a casa in 3, senza le istruzioni per l’uso!

Una volta a casa, cominciò il bello: le notti insonni, difficoltà nell’allattamento, amici scomparsi, vita sociale totalmente assente, lavoro perso….sola, senza nessun tipo di aiuto o sostegno emotivo.

Poco a poco qualcosa dentro di me cominciò a cambiare.

Perchè non riuscivo a godere di una maternità che tanto avevo desiderato e che finalmente avevo ottenuto a differenza di tante donne che purtroppo non erano state fortunate quanto me?

Ho cominciato a farmi delle domande e a cercare delle risposte su internet perchè era troppo difficile parlarne con qualcuno, sarebbe stato come ammettere di avere un problema e di aver fallito. Sì, ricordavo di averne sentito parlare al corso pre-parto, ma non l’avevo nemmeno presa in considerazione, perchè a me, non sarebbe mai capitato.

Non ci mancava nulla, avevamo desiderato questo bambino con tutta la forza che avevamo in corpo, la gravidanza era stata perfetta, il bimbo stava benissimo, la nostra vita tutto sommato aveva un discreto equilibrio….ma allora perchè stavo così?

Perchè mi veniva da piangere senza motivo? Avevo uno strano rapporto col cibo, non dormivo più, il rapporto con il mio straordinario e paziente compagno stava cambiando….

Perchè ero così apatica? Perchè non sentivo nulla? Certo, col bambino ero perfetta ( per fortuna),  non gli facevo mancare nulla, facevo le cose come “dovevano essere fatte”, ma il mio corpo , la mia testa, non avevano nessun tipo di partecipazione emotiva….

E le altre donne attorno a me?  Sempre felici, sorridenti, appagate e in forma smagliante! Perchè io no?

Più il tempo passava, più il mio senso di colpa , inadeguatezza e  fallimento aumentava.

Finchè , stanca dello stato emotivo in cui versavo, ebbi il coraggio di dire : basta!

Un giorno, al parco sotto casa, dove incrociavo le altre mamme col loro passeggino fiammante e la messa in piega perfetta, alla solita domanda, che partiva in automatico ormai da mesi: “ciao cara come va? tutto bene?” , invece di rispondere col sorriso di plastica il mio solito:” benissimo grazie!”, risposi invece: ” insomma, mica tanto….sono davvero esausta….”

Mi si creò il gelo intorno. I sorrisi fittizi sparirono dai loro volti, nessuna parlava o reagiva a quella mia uscita…la sensazione era quella di essere in  pieno film western quando i due cowboys se ne stanno uno di fronte all’ altro, con la famosa musichetta che suona, fissandosi, mentre fischia il vento portando con sé qualche piccolo covone di fieno e un coyote ulula ….

Dopo questo interminabile silenzio mi feci coraggio e ricomincia a parlare: “ragazze, scusate, ma io non ce la faccio più a dire che va tutto bene, perchè io non mi sento bene, mi dispiace dirlo, mi vergogno anche un po’, ma la realtà è questa…..” altro silenzio interminabile…..”Scusate, ma voi come state veramente? davvero va tutto così bene ?”….terzo silenzio tesissimo, finchè una disse un timido : “no…” e poi un’altra e un’altra e un’altra….tutte….

Tutte , vi rendete conto? Come un fiume in piena cominciarono a versare parole dopo che avevo tolto  la diga di omertà.

Più o meno stavamo tutte allo stesso modo, ma nessuna aveva il coraggio di ammetterlo, perché non stava bene, perché le creature sono un frutto del cielo, e certe cose una mamma non può dirle…..

Tornai a casa basita, sconvolta….perché non avevo avuto il coraggio di parlarne prima? Perché tutta questa paura a manifestare semplicemente uno stato d’animo?

Da quel giorno si fece prepotente il mio desiderio di reagire e tornare a vivere. Lo dovevo a me stessa e al mio bambino.

Cominciai ad intervistare in assoluto anonimato tutte le donne che me lo permettevano, che accettavano di svelare questo tabù.

Non smettevo di scrivere. Buttavo giù idee, sensazioni, emozioni, tutto ciò che mi passava per la testa, le parole mi uscivano naturalmente,  non potevo trattenerle, diventavano sempre più concrete e assieme a loro usciva poco a poco anche tutto quel male che da tempo mi stavo portando dentro….

Tutte queste parole presero forma e diventarono uno spettacolo teatrale dal titolo : ” L’HO USCITO IO! ( MAMY BLUES ) “ ,dove racconto senza prendermi troppo sul serio quello che era accaduto a me e a tutte le donne che avevo intervistato. Ce ne furono tante e di molto diverse tra loro, ma emerse una costante: un profondo senso di solitudine ed abbandono.

Ovviamente alla storia ho dato la struttura di uno spettacolo per renderlo fruibile, ma non c’è una sola parola che sia stata inventata.

Ho scelto di dare un taglio comico allo spettacolo, primo perché corrisponde alla mia personalità, secondo perchè sono profondamente convinta che non puoi parlare di depressione in modo drammatico.

Questo ovviamente è solo il mio punto di vista.

Katiuscia Bonato  L'ho uscito io!

Qual è la difficoltà maggiore del portare in scena uno spettacolo del genere?

La difficoltà maggiore che ho trovato a portare in scena uno spettacolo del genere, è stata a livello personale aprire una ferita, guardare in faccia una realtà che io per prima non volevo ammettere e vedere. Mettermi a “nudo” su un palco e dire senza giri di parole ciò che è capitato a me e che continua  a capitare a moltissime donne.

A livello sociale invece è difficile perché nonostante molte persone mi abbiano accolta a braccia aperte ringraziandomi e dicendomi che ho fatto uno spettacolo ” necessario”, molte istituzioni purtroppo mi hanno chiuso la porta in faccia perché non se la sono sentita di mettere in gioco così tanto con amministrazioni e pubblico. Non per tutti è facile programmarmi, perché, sono trasparente e non lascio niente all’immaginazione, dico cose spesso scomode….ma a volte è proprio la vita ad essere scomoda e se avessimo più coraggio, di parlare , confrontarci, ascoltare e giudicare un po’ meno, tanti problemi secondo me non esisterebbero o almeno sarebbero condivisi, attenuati, senza stigmatizzare situazioni scomode ai benpensanti , ma reali e facenti parte di questo mondo e di questa vita

Per fortuna non è sempre così. Molte istituzioni pubbliche, come teatri e ospedali, nonché associazioni private, mi hanno dato grande fiducia e supporto permettendomi di divulgare sempre di più lo spettacolo e il messaggio che porta con sé.

katiuscia Bonato L'ho uscito io!

Questo spettacolo ti sta portando in giro per l’Italia: che tipo di riscontro hai avuto dai diversi pubblici?

Sto portando lo spettacolo in diverse zone d’ Italia da un po’ di anni ormai. Da qualche tempo sono riuscita a farlo anche in alcuni ospedali del Veneto, che mi hanno accolta grazie al lavoro prezioso di alcune ostetriche, di ginecologi,  psicologi e OSS.

Hanno visto lo spettacolo cogliendo il suo valore sociale oltre che artistico e mi hanno chiesto di portarlo da loro, nelle loro strutture pubbliche!

Quindi il riscontro è stato positivo sia da parte di un pubblico ” convenzionale” che “istituzionale”, nonostante durante lo spettacolo io dica alcune verità “scomode”. Questo a dimostrazione del fatto che per fortuna abbiamo a che fare con persone molto intelligenti e che amano il loro lavoro al punto da viverlo come fosse una  missione.

Il mio grande  e ambizioso sogno e per cui mi sto battendo da tempo, è portare lo spettacolo , (perchè no? ), in tutti gli ospedali d’ Italia che vorranno accogliermi.

Ho scritto un progetto che si chiama “ MAMY BLUES” che in sostanza prevede questo: fare lo spettacolo durante i corsi pre-parto, proponendo alla fine una mini conferenza sulla dpp, tenuta da personale qualificato, che approfondisca questo aspetto della maternità non semplice da accettare .

Credo nella potenza comunicativa e sociale del teatro usato come veicolo per introdurre certi argomenti. Fin dall’antichità il teatro veniva usato per comunicare al popolo alcuni temi, dai più goliardici ai più scomodi. Lo spettacolo, che ripeto ha un taglio comico e al contempo rispettoso nella sua forma espressiva, predispone gli spettatori ad aprirsi ad un tema scomodo, permettendo loro di entrare in empatia con i personaggi che si susseguono sulla scena, facendoli sentire un po’ meno soli.

Alla fine dello spettacolo, quando gli animi sono ormai bendisposti, un professionista sanitario approfondirà l’argomento dpp con termini specifici, scientifici, qualificati.

Lo scopo di tutto ciò è di dare l’opportunità a chi ascolta, di capire se nel suo vissuto c’è  qualche difficoltà.  Altra funzione della conferenza è quella di rasserenare ,  dare consigli utili, indirizzando, qualora se ne ravvisasse la necessità, a strutture i grado di dare ascolto o un’assistenza adeguata alle famiglie che ne avessero bisogno. Parlo di famiglie e non di donne, non a caso. Parlo di invito a vedere lo spettacolo, rivolto all’enturage famigliare non a caso, perché credo che noi donne, in qualche modo sappiamo quello che ci accade dentro, ma spesso sono proprio le persone che ci circondano che non sono preparate ad ascoltare, ma soprattutto ad accettare certe cose.

L'ho uscito io!

Oltre alle donne il pubblico maschile come ha reagito al tuo testo?

Una delle cose che mi ha sorpreso di più, soprattutto durante le prime repliche, è stata proprio la reazione maschile. Assolutamente empatica. Non vi dico quanta paura ho a portare in giro questo spettacolo, perché non è “popolare” è “unpoliticaly correct”. Appena comincio, sento tra il pubblico e me, come una specie di muro, come se chi è seduto lì a vedermi volesse dirmi: “adesso voglio proprio sentire cos’hai coraggio di raccontare”…poi la maggior parte delle volte avviene la magia…e sento che poco a poco si lasciano andare, cominciano a viaggiare con me….è un qualcosa che ha del miracoloso…credo che non mi abituerò mai a questa meraviglia che accade e che si chiama teatro!

Un’altra cosa che avviene  la maggior parte delle volte, è che alla fine degli applausi, il pubblico non si alza, resta lì inchiodato alle sedie, come se avesse bisogno di dire la sua….e io allora torno sul palco e mi siedo lì con loro perché questa necessità di confronto, in realtà ce l’ho pure io!

Mi arrivano un sacco di messaggi su fb alla fine di ogni spettacolo, di persone che non conosco, mi cercano in rete e mi scrivono le loro emozioni…le ho raccolte tutte e le conservo gelosamente perché per me sono linfa vitale, l’energia che mi da la forza di continuare con questa mia piccola battaglia personale. Un commento che mi colpì particolarmente fu proprio da parte di un uomo: mi ringraziò perché non aveva mai nemmeno preso in considerazione che una cosa del genere potesse capitare a lui e alla sua compagna e che lo spettacolo gli aveva fatto leggere alcuni comportamenti che non era stato in grado di  cogliere prima….mi commosse…..

Un altro uomo, più maturo, mi disse che questo spettacolo non era per le donne, ma che doveva essere proposto agli uomini.…restai senza parole….

Una donna anziana con le lacrime agli occhi mi disse che avrebbe tanto voluto avere la forza di parlarne quand’era giovane, ma all’epoca non si poteva…la cosa che mi sorprese di più era che ne parlava come se la cosa gli fosse capitata il giorno prima…questa donna aveva più di 80’anni….mi colpì come il dolore possa restare vivo negli anni…

Ce ne sarebbero migliaia di commenti degni di attenzione….

Ultimamente il mondo dell’arte si sta occupando parecchio di maternità difficile: oltre a te penso ad esempio ad Alina Marazzi o a Federica Cifoli che hanno interpretato in maniera differente il proprio percorso di maternità (anche con linguaggi diversi visto che si parla di cinema e teatro). Secondo te perché si sente questa urgenza?

Perché non se ne parla ancora abbastanza. Pensa che quando cominciai a scrivere, e non parlo di tanto tempo fa, non riuscivo a trovare materiale relativo all’argomento dpp. Sì se ne parlava, ma non in modo così approfondito. Dovetti ricorrere a testi e tesi provenienti per lo più dal nord Europa e scritti in inglese! Non ti dico la fatica.

Poi ci fu il fortunato incontro con ONDa ( Osservatorio Nazionale per la Salute della Donna ) e con il Prof Claudio Mencacci Direttore del Dipartimento di neuroscienze A.O. Fatebenefratelli-Milano e Presidente Società Italiana di Psichiatria.

Cercai di condensare tutto il materiale che avevo raccolto in una tesina che poi è entrata a far parte dello spettacolo. Questa tesina mi fu generosamente e sapientemente corretta proprio dal Prof Mencacci con cui entrai in contatto grazie alle bravissime e professionali Giulia Di Donato e Valentina Orlandi responsabili della comunicazione e dei progetti speciali di ONDa.

Poi una piccola vittoria: proprio quella di ottenere il patrocinio di ONDa per il valore sociale oltre che artistico dello spettacolo.

Altra difficoltà che incontrai fu proprio con alcune istituzioni, di cui non faccio il nome, che mi dissero, testuali parole, : “il popolo italiano non è pronto per associare sentimenti negativi alla maternità!”.

Potete immaginare il mio sconcerto e la mia frustrazione….

Un giorno fu proprio una donna a dirmi: “ma secondo lei non se ne parla invece troppo? non crede che parlandone, il problema no fa che acutizzarsi?” Per fortuna non dovetti rispondere perché fu il pubblico, non solo femminile, ad insorgere e a dare una risposta sicuramente più adeguata della mia.

Anche per questi motivi voglio che se ne parli, perché le donne non devono più aver paura, non devono più sentirsi in colpa o “snaturate”.

Parlandone si rendono conto che non sono sole e che il demone del baby blues (che arriva a colpire fino al 90% delle donne), o della dpp (che colpisce il 10% delle donne fino ad arrivare ad un 30%) può svanire molto più facilmente di quel che si pensa.

Nella stragrande maggioranza dei casi, l’unica cosa di cui ha bisogno una donna, è del sostegno emotivo, parlarne per dissolvere i mostri.

Ha bisogno di sentirsi compresa e accolta dalle persone care che la circondano, tutto qui.

Certo, ci sono casi che si acutizzano perchè trascurati, che hanno bisogno di un intervento medico-professionale. Parliamo della psicosi post partum che arriva a colpire una donna su 1000!

Ma non sempre è così, anzi.

Un psicologa con cui ho collaborato e che a sua volta collabora con la meravigliosa realtà della Casa delle Mamme di Belluno, mi disse una cosa che mi colpì molto: le donne che hanno il coraggio di parlare, di lamentarsi, buttano fuori il problema, è come se lo esorcizzassero. Spesso sono proprio le donne che non dicono nulla, che indossano una maschera, che nascondono tutto a tutti, che  arrivano al gesto estremo.

E questo è l’altro motivo per cui porto avanti questo mio progetto: non solo perché ho a cuore la salute delle donne, ma anche e soprattutto quella dei bambini che poi, alla fin fine, sono quelli che in modo o nell’altro arrivano a subire il malessere dei genitori.

Secondo te qual è la bugia più grossa che viene detta sulla maternità?

La più grossa bugia sulla maternità? Quando ti viene proposta come la sindrome del Mulino Bianco!

Quando ti dicono che sarà il più bel periodo della tua vita, che sarai raggiante, felice, appagata.

Certo, per fortuna, per alcune donne è davvero così, e meno male! Ma non dobbiamo più aver paura o vergogna di chiamare le cose col proprio nome qualora dovessimo renderci conto che le cose per noi invece, non sono così lineari….

Io per fortuna ora sto bene ( domani non lo so!) ma non dimentico che mi sono guadagnata con grande fatica e sacrifici ogni singolo momento di serenità, ogni piccolo traguardo  perché nulla cade dal cielo. E’ un lavoro costante, fatto con impegno ma soprattutto tanta leggerezza, quella calviniana però, che ho imparato ad apprezzare in quel periodo di buio e di cui godo ora finalmente nella mia luce ritrovata!

“Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.

I. Calvino

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