50 sfumature di mamma: fenomenologia delle madri odierne

 

50sfumature di mamma

Era essenziale tornare a galla a respirare periodicamente, un po’ come le tartarughe d’acqua: ok la vita da mamma, ma ho sempre avuto la necessità di tornare a ritrovarmi, per non perdere il contatto con la me stessa di prima‘. 

Anna, Anya e Morna sono tre mamme che vivono in tre città diverse, però hanno una visione piuttosto sorprendente della “mammità”. Il loro blog 50 sfumature di mamma propone infatti diverse tipologie della mater italica e non solo. Divertenti, ironiche e per questo assolutamente da leggere, mi hanno parlato della propria esperienza e di che cosa pensano della maternità oggi.

Il vostro blog 50 sfumature di mamma propone un’analisi fenomenologica dei diversi tipi di mamma esistenti. Volete forse sdoganare il mito della mamma santa, il cui solo e unico scopo nella vita è quello di accudire i figli sempre con il sorriso sulle labbra?

M. Assolutamente sì! Quando abbiamo deciso di aprire il blog e ci siamo trovate per decidere che impronta avremmo voluto dare al blog, eravamo tutte assolutamente concordi su questo.

In fondo tutte e tre ci sentiamo “mamme per caso”, non tanto nel senso che la maternità sia stata un incidente di percorso (oddio, per una di noi forse anche sì), ma soprattutto nel senso che la maternità è un “di più” nel nostro percorso di vita, un di più importantissimo, esaltante, faticosissimo, ma che non si sostituisce alle “noi stesse” di prima, ma semmai si aggiunge, con tutti gli incastri necessari per far convivere due persone in una, nelle solite 24 ore che ci sono concesse.

Uno dei motivi per cui una donna può soffrire di depressione post partum è il fatto di non trovare riscontro tra l’immagine ideale di mamma che si era figurata prima della gravidanza e la realtà, con tutte le difficoltà, la stanchezza, la voglia di scappare dal proprio bambino. Voi cosa ne pensate?

M. Siamo fondamentalmente d’accordo, ma con alcune precisazioni. Abbiamo creato il “comitato liberazione mamma” proprio per quello che dici tu, perché riteniamo giusto che le neomamme, se si sentono in crisi, abbiano un luogo dove possono capire che non sono sole, che tantissime donne hanno provato quello che provano loro. D’altro lato, credo sia anche sbagliato “spaventare” le mamme in attesa. Inutile raccontare parti splatter o quanto siano devastanti i primi tempi, non è detto che sia così. Meglio lasciar vivere la favola, almeno in gravidanza, basta che, quando ci si trova nel “frullatore” si sappia dove trovare conforto.

K. Credo che l’immagine della maternità che ci si prefigura prima della gravidanza sia una delle cause dello sconvolgimento che prova una neomamma.

Concordo con Morna, non si devono spaventare le donne che desiderano o a cui capita una maternità, ma si deve fornire loro una visione reale dell’avere un figlio.

Ed è quello che cerchiamo di fare, ogni giorno, col blog in generale e con la costola che ne è nata (il comitato).

La maternità è sconvolgente, oggi, credo soprattutto perchè la famiglia, il contesto, il tessuto in cui si cresce sono cambiati: pensiamo ad una donna di anche solo una generazione fa (se pensiamo alle nostre nonne, sarà ancora più lampante): quanti bambini le passavano per casa sin da quando lei stessa lo era? Quanti neonati aveva visto e con quanti aveva a che fare? Quante donne aveva accanto? Almeno, almeno, madre, suocera, cognate, cugine…

Ora pensate ad una donna oggi.

Quando partorisce e si trova in un turbinio di ormoni in caduta libera, pianti e urla del neonato, rigurgiti, pannolini, allattamento difficoltoso, mancanza di sonno, fatica immane, senso di smarrimento, solitudine…

Non credo ci sia molto da aggiungere, la conclusione si trae da sè.

Forse, però, pensiamoci, se questa mamma sa da subito cosa la aspetta, forse, dico forse, potrebbe “attrezzarsi” di aiuti, di sostegno, di forza, informarsi meglio…insomma, gestire il puerperio meglio e con qualcuno accanto.

Uno dei vostri post si chiama “L’apoteosi della mamma mostro”, in cui si parla del fatto che una mamma possa essere contenta di avere del tempo per sé, senza figli attorno. Insomma, che abbia una vita propria senza vivere di riflesso quella dei suoi pargoli. Eppure per la società – e forse anche per altre mamme – è appunto “un mostro”. Come mai secondo voi quando si diventa mamme per il mondo esterno sembra non si abbia più nessun’altra identità?

M. Domanda difficile. Ma a rifletterci, non credo sia tanto il mondo esterno ad affibbiare questo clichè, quanto piuttosto le altre mamme. In molti ambienti lavorativi nessuno si stupisce se ti fermi a lavorare fino a tardi o se accetti volentieri un viaggio di lavoro o un progetto importante che ti chiederà tantissimo tempo e impegno. Sono invece le altre mamme che, se racconti che stai per partire per un viaggio di lavoro con un figlio di 3 mesi, ti guardano come una snaturata che rovinerà irrimediabilmente il figlio. Io che, non avendo amiche con figli cercavo la condivisone con altre mamme “on line”, non riuscivo praticamente mai a trovare chi la vedesse come me. Per me era essenziale tornare a galla a respirare periodicamente, un po’ come le tartarughe d’acqua: ok la vita da mamma, ma ho sempre avuto la necessità di tornare a ritrovarmi, per non perdere il contatto con la me stessa di prima. Per cui ho lasciato sin da prestissimo i miei bimbi qualche giorno dai nonni, io mi rigenero, e loro pure.

Chiaro che se loro ne soffrissero non lo potrei fare, è il loro interesse che deve sempre prevalere, ma in molte mamme secondo me c’è anche un po’ di superbia: danno per scontato che la loro presenza sia sempre e comunque meglio.

Io invece credo che anche i bambini abbiano bisogno del distacco dai genitori, anche loro hanno bisogno di respirare ogni tanto.

K. Molta superbia e una sicurezza talmente ostentata che sa di insicurezza e di rapporto poco sano.

L’esempio della tartaruga d’acqua lo trovo perfetto: tutte noi, ma anche i bambini, abbiamo bisogno di acqua e, ogni tanto, di aria.

E’ sano per entrambi.

E’ essenziale preservare la propria identità di persona e se non siamo noi per prime a farlo, chi altro può?

Conserviamo e imponiamo noi per prime la nostra identità di persona, prima ancora che di madre (quella chi ce la leva? 😉 ).

E ricordiamo che allo stesso modo per i nostri figli è essenziale la costruzione di un’identità di individuo, prima che di figlio.

In un giorno non molto lontano al mondo non importerà nulla che questi ragazzi sono dei figli, ma importerà solo che tipo di persona questi saranno.

Un altro post molto schietto è “Mi chiedo perché ci prendono per il culo” dedicato alle varie donne dello spettacolo che non ammettono di essere come tutte le persone normali quando aspettano un bambino. Secondo voi il post gravidanza può essere vissuto male – e quindi andare incontro a problemi seri come la depressione post partum – anche per colpa dell’immagine e dei messaggi tipo “è la cosa più bella della mia vita”, “non importa quanto sono stanca: basta guardare mio figlio e sono felice” o “sono tornata più magra di prima senza sport e senza diete”?

A. Sono io l’autrice del post. Lavoro nel campo della bellezza e, ogni giorno, vedo decine e decine di foto di star. Io ho la grande fortuna di essere tornata in forma dopo i parti, e quindi non provo alcun tipo di invidia per persone come Belen che, volenti o nolenti, col loro corpo ci lavorano e devono essere in forma, per forza. Ma è questo che la gente normale non capisce: vedere una come Belen quando tu hai partorito sei mesi prima di lei e ti ritrovi ancora la pancia, la cellulite, le occhiaie perenni, non fa bene. Come non fa bene vedere la Hunziker che, a tre giorni dal parto, torna a “lavorare” (bisognerebbe però dire che lei non lavora, almeno non nel senso in cui tutte noi lavoriamo, uscendo la mattina all’alba e tornando la sera all’ora di cena, senza poterci portare neonati con noi da allattare o coccolare quando ci va…). E non va bene nemmeno chi, come la Satta, si inventa di aver preso solo due kg quando si vede che è lievitata notevolmente. A questo punto, meglio Kim Kardashian: più di trenta kg, mai nascosti, tre mesi di assenza dalle scene dopo il parto e apparentemente tanta chirurgia plastica. Lei è normale, per essere una star. Le altre ci pigliano solo per il culo. Le riviste dovrebbero smettere di piazzare in prima pagina le varie Belen, Michelle e Melissa portandole come esempio. Cosa hanno, loro, in comune con noi?

Cosa ancora oggi non viene raccontato della maternità?

M. Oggi fortunatamente le cose sono cambiate rispetto anche solo a 5 anni fa. Ci sono moltissime voci di mamme che raccontano “la verità, tutta la verità”, quindi se non altro è stato sollevato il velo. Il fatto è che non tutte le neomamme sono geek mum che stanno appiccicate al pc, ma invece si sentono ancora influenzare dai corsi pre parto, dove troppo spesso si sputano dogmi e sentenze: il parto naturale è sempre e comunque meglio, no all’epidurale, allattamento senza possibilità di dubbi, se non allatti sei una nullità. Credo che il prossimo passo sia creare una breccia qui, nei consultori, nei corsi pre parto, nelle nursery, i primi luoghi dove una mamma si sente inadeguata.

Voi come avete vissuto la vostra maternità?

M: io in modo molto diverso con i due figli. Per il mio Ragazzo Grande, ho avuto un post partum difficile. Non credo fosse vera depressione, ma qualcosa di molto simile. Tutto mi appariva estremamente pesante, la routine mi uccideva, le giornate erano tutte uguali, scandite da poppate, cambi rutti e nanne, sempre tutto uguale, mi sembrava di soffocare e non vedevo l’ora che crescesse. Vedevo una mia amica con una bimba di 3 mesi più grande e mi sembrava tutta un’altra vita, facevo il conto alla rovescia perché arrivasse anche lui a quella fase. Poi il tempo è volato, avrei voluto fermarlo, ma non è possibile. Con il piccolo quindi mi sono goduta ogni istante, ho adorato la fase neonato, perché sapevo che in un lampo mi si sarebbe volatilizzata tra le mani. Poi, in entrambi i casi, son dovuta rientrare al lavoro prima dei tre mesi, e ho sofferto molto di questo fatto. Se potessi, vorrei un terzo figlio per potermi godere ogni suo momento (senza rinunciare alla mia “mostruosità”, i soggiorni dai nonni sono assicurati!).

A. Per me non è stato esattamente così. Avevo letto molto prima della P1 ed ero preparata al peggio. Ho avuto molta fortuna per alcune cose (come il sonno), un po’ meno per altre, ma ho affrontato ogni giorno senza aspettative, vivendo minuto per minuto, cercando di organizzarmi. Ho avuto la fortuna di trovare un’amica a Parigi con cui ho attraversato tutto: anche lei aspettava una bimba, anche lei italiana appena arrivata, e abbiamo praticamente cresciuto insieme le nostre bimbe durante tutto il primo anno. Quando è nata la P2, tutto era diverso: facevo un master alla Sorbonne, la P1 aveva appena 2 anni ed ero continuamente in un vortice. E’ passato talmente in fretta che ho appena un vago ricordo di ragadi, mastite & co… Ora le guardo e mi rendo conto che quello che ci spaventa quando sono neonati è niente in confronto alla responsabilità che assumiamo quando crescono…

K. Io in modo simile a quello descritto da Morna per Ragazzo Grande: i primi tempi li ricordo come un periodo molto difficile e ricordo una soltudine profonda e una grande paura. Poi, ad un certo punto, ho toccato il fondo e ho reagito.

E tutto ha preso un’altra piega.

 Le neo mamme di oggi hanno a disposizione molti più strumenti per affrontare la maternità senza “le fette di prosciutto sugli occhi”. Eppure la depressione post partum continua ad essere una patologia che colpisce, solo in Lombardia, 1 mamma su 3. Secondo voi cosa può fare la rete per aiutarle, visto che spesso è sul web che hanno il coraggio di raccontarsi?

La rete può diffondere le voci, in modo semplice ed immediato. Basta un click per trovare un’altra mamma che racconta esattamente quello che hai provato tu (specie quando sarà on line il nostro sito “comitato liberazione mamma” 😉 ) Ma, purtroppo, non sempre il “mal comune mezzo gaudio” è sufficiente. La depressione post partum è una malattia, e come tutte le malattie ha bisogno di cure. Forse quello su cui ancora si può lavorare è il ponte tra virtuale e reale: in rete è facile sfogarsi, ma da lì può essere necessario il collegamento ad un supporto reale, perché in un caso di depressione seria, quello che uccide è l’isolamento

Un’ultima domanda: tra Belen e Kim Kardashian in versione mamma chi buttate giù dalla torre? :).

Io, Belèn, almeno Kim ha il culone! (morna)

A. Ho già risposto a questa domanda più su: io salvo Kim. Ma, fondamentalmente, anche se ci vivo, mi importa poco dell’una e dell’altra!

K. Salvo Kim! O, dovrei dire, il culone di Kim!

Belen è talmente e splendidamente perfetta, che per una neomamma è un vero e proprio attentato!

Foto credits: 50sfumaturedimamma.com 

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