Manuela Aloni, psicoterapeuta: “Le madri si sentono ancora troppo inadeguate”

Manuela Aloni

Oggi prosegue l’intervista con una professionista che si occupa di depressione post partum. Mi piace parlare con chi se ne occupa da vicino perché le risposte sono ogni volta diverse e fanno emergere aspetti sempre nuovi, utili per spunti di riflessione. E’ questo il caso di Manuela Aloni, psicologa e psicoterapeuta. Dopo la laurea in Psicologia Sociale e dello Sviluppo l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha seguito un corso biennale post-lauream in “Counseling per la comunicazione verbale del bambino” e successivamente si è specializzata in Psicoterapia con la Procedura Immaginativa presso l’Istituto Psiche e Immaginario di Milano. Ha poi allargato la propria  formazione professionale con i corsi di I e II livello di EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing), un metodo psicoterapeutico che, attraverso i movimenti oculari, facilita il trattamento di disturbi legati ad eventi traumatici o ad esperienze di vita stressanti. Attualmente, lavora come psicoterapeuta a Trezzano sul Naviglio (in fondo troverete i contatti che sono inseriti anche nella sezione “Aiuto”) e presso il reparto di riabilitazione dell’età evolutiva dell’Istuto Golgi di Abbiategrasso.

Dott.ssa Aloni, quando si può dire che una mamma soffre di depressione post partum?

La nascita di un figlio spesso viene descritta solo nelle sua connotazioni gioiose e positive, ma in realtà è per ogni donna un momento di estrema intensità sia fisica che emotiva, che sconvolge gli equilibri preesistenti. Successivamente al parto è necessario un tempo per ricostruirsi e per ridefinirsi: mente e corpo devono modificarsi a vari livelli per affrontare la nuova fase di vita ed il nuovo ruolo materno, così come dovrà trovare nuove forme organizzative anche l’ambiente familiare e domestico. Moltissime donne vivono questo primo periodo con un leggero abbassamento del tono dell’umore e con instabilità emotiva, entrando nel cosiddetto “baby blues”; tale condizione è considerata naturale, fisiologica, lieve e transitoria, in parte connessa al brusco calo ormonale cui una neo-madre è sottoposta, ma è importante monitorarla comunque. In alcuni casi, infatti, i sintomi diventano più marcati, quotidiani, persistenti e pervasivi ed assumono la forma di una vera e propria depressione: la depressione post partum. L’umore è depresso, diminuisce nettamente l’interesse o il piacere per tutte, o quasi, le attività, l’appetito aumenta o diminuisce, insorgono insonnia o letargia, ci si affatica facilmente sia a livello fisico che mentale o al contrario ci si sente eccessivamente agitati, si è assaliti dai sensi di colpa e di inadeguatezza e compaiono pensieri legati alla morte ed al suicidio (DSM 5 – Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorder; American Psychiatric Association). La diagnosi deve essere fatta da un professionista, ma esiste uno strumento di screening riconosciuto a livello internazionale, l’ Edinburgh Postnatal Depression Scale (EPDS), che può essere anche autosomministrato e che fornisce una prima indicazione sulla presenza di depressione post partum.

La depressione post partum può dipendere da fattori ambientali o sociali? Mi spiego: una mamma che ha un figlio in un ambiente culturale elevato, senza problemi economici può avere le stesse probabilità di ammalarsi di una che vive in una condizione più disagiata? La depressione post partum può colpire anche le mamme che hanno avuto un aborto o le mamme adottive?

La depressione post partum è l’esito della convergenza di molteplici elementi; ogni individuo porta nel suo bagaglio personale fattori di rischio e fattori protettivi e dal loro bilanciamento dipende l’equilibrio psichico. Già durante la gravidanza, la propria storia personale, in particolare la relazione avuta con le figure di accudimento ed eventi traumatici o stressanti che abbiano avuto un’influenza sulla propria autostima, viene riattivata, perché a partire da essa è stata costruita la propria immagine di sé e verrà costruito il proprio ruolo materno. Se i nodi critici vissuti non sono stati adeguatamente metabolizzati, essi torneranno a farsi sentire nei momenti di maggior fragilità, come può essere il post partum, indipendentemente dal livello culturale ed economico della persona. Certamente, però, l’ ambiente ha una notevole influenza su come questa riattivazione viene gestita: il sostegno emotivo e psicologico del partner e della famiglia allargata è un elemento di protezione importante, così come il poter contare sulla presenza di strutture valide e su un adeguato accompagnamento sanitario perinatale.

Proprio perché la depressione post partum è scatenata dal parto, ma trova le sue cause nella storia personale della donna, essa si può presentare anche quando la nascita del figlio coincide traumaticamente con la sua morte. L’aborto è un vero e proprio lutto, anche quando avviene nelle prime settimane di gestazione, anche se purtroppo spesso non viene trattato come tale e se ne minimizzano le ripercussioni psicologiche. L’elaborazione di tale evento può essere molto complessa e la sensazione di non sentirsi comprese nel proprio dolore può essere marcata a causa della fatica sociale nel confrontarsi con tale tematica.   

Ma anche quando il proprio figlio viene partorito da un’altra donna, come nel caso dell’adozione, il momento in cui lo si incontra per la prima volta si caratterizza come una vera e propria nascita, con tutto ciò che questo comporta, compreso il “baby blues” dei primi giorni ed il rischio che questo si trasformi in depressione post-partum. In questo caso, lo screening è ancora più complesso, poiché l’accompagnamento durante l’iter adottivo spesso è frammentato e saltuario ed il post-adozione in molti casi è rappresentato da un unico incontro con i servizi territoriali a distanza di diversi mesi. La realtà in tal senso è molto variabile, ma anche nei casi in cui esistono validi percorsi di sostegno pre e post adottivi, spesso la partecipazione è a libera scelta della famiglia e purtroppo coloro che ne avrebbero bisogno difficilmente vi aderiscono.

Quali sono le difficoltà che le mamme riportano quando entrano in psicoterapia?

Le donne che soffrono di depressione post partum riferiscono di sentirsi inadeguate, incapaci di prendersi cura del loro bambino e di loro stesse, percependosi prive delle energie e delle risorse necessarie ad affrontare la quotidianità. Crolla l’interesse per le attività un tempo considerate attraenti ed ogni cosa viene percepita come estremamente faticosa e fonte di ulteriore malessere; anche alimentarsi, vestirsi, lavarsi ed addormentarsi diventano compiti gravosi. Sperimentano una dolorosa ambivalenza verso il figlio, intrecciata al dilaniante senso di colpa per non riuscire ad aderire al modello – illusorio e distorto – di “madre perfetta”. Riportano elevata irritabilità ed aggressività, anche all’interno della relazione con il partner, accompagnate dalla visione della morte come possibile soluzione alla propria sofferenza, sentendosi intrappolate in una gabbia d’angoscia priva di vie d’uscita.

Perché secondo lei le donne fanno fatica a chiedere aiuto?

Vari sono i motivi che rendono difficile ad una donna chiedere aiuto. A volte la causa è la non comprensione, da parte della madre ma anche da parte del nucleo familiare, della gravità dei sintomi, che vengono minimizzati e confusi con il fisiologico calo dell’umore dei primi giorni del puerperio. Altre volte, il senso di inadeguatezza può portare a vergogna e ad ulteriore isolamento a causa del timore che comunicare la propria sofferenza implicherebbe un giudizio negativo su di sé.

In altri casi ancora la donna può non aver chiaro il fatto di poter chiedere aiuto o può non sapere a chi rivolgersi.

In Italia non esistono  delle linee guida universali per trattare la malattia, soprattutto sul terreno della prevenzione. Che tipo di aiuti ci sono allora?

In realtà esistono delle indicazioni per un corretto approccio alla depressione post-partum, a cui gli operatori del settore dovrebbero riferirsi per approcciarsi al meglio al problema e attuare strategie preventive. Il progetto “Prevenzione, diagnosi e trattamento della psicopatologia perinatale. Indicazioni di buona pratica clinica per la gestione della depressione perinatale”, messo a punto dall’Osservatorio Nazionale Donna (O.N.DA), risponde all’esigenza di avere linee guida in tale ambito.

Dopo quanto tempo ci si può considerare guarite?

A differenza del “Baby blues”, la depressione post partum – come tutti i disturbi depressivi – non è una condizione transitoria e, senza un adeguato trattamento clinico, può accompagnare la madre per anni, incidendo negativamente sia sul piano personale che su quello delle relazioni familiari, comportando potenziali rischi anche per lo sviluppo del bambino. Un percorso di psicoterapia e, in alcuni casi, un supporto farmacologico, permettono di uscire dal vortice nero della depressione post-partum, ma il tempo necessario per ritrovare il proprio equilibrio interiore è molto variabile e soggettivo, poiché dipenderà dal tempo necessario ad elaborare ciò che ha determinato l’insorgere del disturbo. 

Secondo lei i corsi pre parto dovrebbero essere migliorati per affrontare anche gli aspetti emotivi della maternità?

I corsi pre parto sono un luogo potenzialmente ottimale di informazione e di contatto con le future mamme. Purtroppo, però, spesso si concentrano sul fornire informazioni tecniche o teoriche sul parto, sull’alimentazione e sull’accudimento pratico del bambino, lasciando poco spazio a ciò che accade nei mesi successivi alla nascita. Molte volte alle partecipanti vengono offerti omaggi di prodotti che potranno servire loro per la cura del bambino (creme, pannolini, etc); si potrebbe pensare di fornire alle gestanti anche del materiale informativo sulla depressione post partum, sul come riconoscerla e sui centri di zona a cui rivolgersi in caso di bisogno.    

Anche i papà possono soffrirne, sebbene si parli poco di questo aspetto. Lei ha avuto qualche esperienza in merito?

Non direttamente, anche perché, se è già difficile per le donne che soffrono di depressione post partum rivolgersi ad uno specialista, per gli uomini lo è ancora di più, poiché culturalmente l’uomo è tendenzialmente incoraggiato a non manifestare il proprio mondo emotivo ed a non chiedere aiuto. Negli ultimi anni, però, diverse ricerche hanno iniziato ad indagare anche il versante maschile della coppia genitoriale ed hanno rilevato un’incidenza di depressione post partum non così lontana da quella femminile. La transizione da coppia a triade, con la ridefinizione dei ruoli e degli spazi relazionali ha un profondo impatto anche sui papà, soprattutto nei primissimi mesi di vita del bambino, durante i quali la madre è immersa nel rapporto esclusivo col figlio neonato. Anche per gli uomini, la somministrazione della EPDS può essere una valida forma di screening da utilizzare già dagli ultimi mesi di gravidanza della compagna, al fine di individuare segnali meritevoli di approfondimenti clinici.

D.ssa Manuela Aloni
Via Circonvallazione, 69 Trezzano sul Naviglio
Tel. 3483935395

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