Patrizia De Lio, psicoterapeuta: “La società ci vuole madri, ma non ci aiuta ad esserlo”

Mamme sole

Oggi un’intervista che mi ha fatto commuovere. Perché Patrizia De Lio ha scelto di condividere con me la sua esperienza di psicologa e psicoterapeuta con un vissuto particolare: sua madre ha sofferto di depressione post partum. Come sapete anch’io ho scoperto di avere avuto mia nonna che ha sofferto della stessa malattia e lei racconta qui che cosa ha significato crescere con una strana “compagna” presente nella vita sua e di sua madre. Vediamo che cosa ha raccontato.

Patrizia, mi racconti un po’ il tuo percorso professionale? Mi parli per favore delle realtà in cui lavori?

Mi sono laureata in Psicologia all’Università di Pavia nel 2003, nel 2006 ho conseguito un Master di 1° livello in “Programmazione e interventi psicologici in ambito clinico e riabilitativo” all’Università di Parma. Nel 2010 ho ottenuto la specializzazione in psicoterapia cognitivo costruttivista presso il Centro di Terapia Cognitiva di Como.

Nel 2014 mi sono perfezionata in “Valutazione e interventi orientati all’attaccamento” all’Università di Pavia e, nella medesima università, nel 2015 ho frequentato il training italiano certificato sul protocollo del Video-feedback Intervention per la promozione della genitorialità positiva e la disciplina sensibile (VIPP-SD). Nel 2016 ho ottenuto il titolo di Intervener VIPP-SD e sono referente per l’Italia.

Dal 2009 sono coordinatrice psicopedagogica di tre Nidi d’Infanzia in Val Tidone (PC).

Sono titolare del Centro Psiche (www.centropsiche.com), il primo presidio clinico a vocazione sociale della provincia di Piacenza in cui eroghiamo servizi psicologici-psicoterapici-neuropsicologici a tariffe calmierate. Io e le tre colleghe che collaborano con me crediamo che la salute sia un diritto e non possa/debba essere un privilegio e grazie a tariffe eque vogliamo consentire a quante più persone l’accesso alla cura. Tra i servizi che eroghiamo, il percorso “Cara mamma…non sei sola” è specificamente dedicato alle puerpere e alle neomamme.

Dal 2008 collaboro come consulente clinica con l’Associazione Progetto Panda onlus-a sostegno della maternità- (www.pandaonlus.org) e dal 2011 sono Capo Progetto e responsabile del Centro Ascolto Mamme (CAM) presso l’Ospedale San Gerardo di Monza. Il CAM è un ambulatorio ad accesso diretto e gratuito per la prevenzione e la cura dei disagi psicologici della perinatalità in cui eroghiamo prestazioni psicologiche-psicoterapiche e psichiatriche a gestanti, donne con bambini da 0 a 3 anni e coppie. L’équipe è composta da 8 terapeuti con formazione e competenze specifiche sulla maternità e le problematiche psicologiche connesse.

Da gennaio di quest’anno sono Presidente dell’associazione “sinergicaMente-a misura di bimbo a sostegno di mamma-“ (www.associazionesinergicamente.com) che ho fondato con tre colleghe con l’obiettivo di rendere il territorio in cui vivo e lavoro più attento ai bisogni dei bambini e delle mamme. Tra le varie attività in essere, quella a cui tengo maggiormente è il “progetto GEMMA” che, ad oggi, prevede l’home visiting nel primo anno di vita del bambino e l’attività gratuita di screening per la prevenzione della DPP in gravidanza.

Tu sei una psicoterapeuta che aiuta le mamme con la depressione post partum, ma sei anche figlia di una madre che l’ha avuta. Come ti ha raccontato ciò che ha passato? E tu da figlia come l’hai vissuto?

Sono nata da una mamma in lutto. Un anno prima della mia nascita mia mamma ha partorito una bambina nata morta, e prima ancora ha subìto due aborti intorno al terzo mese. Il racconto delle gravidanze interrotte e di quella sorella mai conosciuta ha fatto da sottofondo a molti miei pomeriggi di gioco. Ricordo le lacrime di mia madre, non pianti disperati ma sommessi…sordi e gli scoppi di rabbia improvvisi. E poi i suoi momenti di “assenza” in cui era fisicamente vicino a me sul divano, ma lontana col cuore e con il pensiero. Ho trascorso giornate in cui la sentivo singhiozzare, in cui rimaneva a letto e al buio, serate in cui non preparava la cena e rimaneva in silenzio. Mi diceva che aveva “l’esaurimento” per tutto il dolore che si era accumulato e tutte le volte aggiungeva “per fortuna sei nata tu!”. A quei momenti bui si opponevano giornate normali fatte di coccole, sorrisi, giochi al parco, biscotti e ninnananne. A volte la sua tristezza mi faceva rabbia, e ho vivo ancora oggi il senso di colpa e impotenza che ogni tanto mi coglieva. Da bambina non credo di aver compreso davvero il suo malessere e forse non lo capirò mai fino in fondo. Ho imparato ad accettarlo. Ho imparato ad accarezzarla quando era triste. La mia mamma era così, non avrei potuto cambiarla. Potevo solo amarla per come era.
Fino a qualche anno fa, avevo l’idea che lei fosse donna fragile (nell’accezione negativa del termine). Poi ho cambiato idea. Oggi penso che mia madre sia stata e sia una donna forte, ha saputo essere la mamma migliore per me nonostante i lutti, la depressione mai diagnosticata e mai curata, le assenza di mio padre, il vuoto di amicizie, la distanza dalla famiglia d’origine. Chi sopravvive a tutto questo ha risorse enormi. Ha fatto la mamma come meglio poteva, e le sono grata. Non si è arresa! Oggi è una nonna meravigliosa.
Ogni volta che mi prendo cura di una madre e del suo bambino, è come se prendessi per mano mia mamma e la bambina che sono stata.
Non è un caso che abbia scelto di fare lo psicoterapeuta e di occuparmi di DPP, così come non è un caso che abbia scelto il nome di mia madre per indicare un progetto sulla DPP. Gemma è lei e la mia grossa ambizione e l’impegno quotidiano è fare sbocciare le madri, anche e soprattutto quelle in difficoltà.

Come hai vissuto invece tu il tuo diventare madre sapendo la storia della tua famiglia? Hai mai pensato che la depressione post partum potesse venire anche a te, visto che ha anche origine genetica?

Durante la mia gravidanza ho pensato spesso all’eventualità di poter sviluppare la DPP, mi tranquillizzavo pensando che la familiarità era l’unico fattore di rischio che mi riconoscevo.
Ho avuto il baby blues a qualche giorno dal parto, complicato dalle difficoltà nell’allattamento che è durato solo un mese e mezzo. In quei giorni fatti di senso di inadeguatezza, confusione, preoccupazione, stanchezza…mia madre è stata la mia ancora di salvezza. Solo nei suoi occhi ho trovato comprensione e tra le sue braccia conforto. Sapere che lei conosceva esattamente i pensieri e le emozioni che mi affliggevano mi ha dato grande sollievo, non mi sono mai sentita sola.

Secondo te la depressione post partum è conosciuta a sufficienza? Perché spesso mi sembra che ci sia una difficoltà nella comunicazione: viene scambiata con il baby blues, oppure non la si nomina affatto durante la gravidanza, come se fosse uno spauracchio. Tu cosa ne pensi?

La DPP è la grande assente dei corsi pre parto, delle visite ginecologiche e di quelle pediatriche. Rappresenta l’ospite inatteso e sgradito alla grande festa della maternità, tutti gli invitati sanno che si potrebbe presentare e tutti sperano che non arrivi.
Nell’ospedale in cui ho partorito, né dal mio ginecologo, né dal pediatra di mio figlio ho mai trovato un solo opuscolo informativo. Nel corso pre parto che ho frequentato in ospedale non si è fatto cenno alcuno ai disagi psicologici che possono insorgere. Nei vari corsi di accompagnamento alla nascita non è mai (o quasi) presente tra gli argomenti/tematiche affrontati.
Da parte delle figure sanitarie che accompagnano la donna durante la gravidanza e nel puerperio mi pare di notare un atteggiamento di superficialità.
I dati scientifici ci dicono che la DPP è sottodiagnosticata, spessissimo viene scambiata con il baby blues, non solo dalle madri ma anche dai sanitari. Quasi sempre la prima figura a cui le donne si rivolgono è il medico di base o il pediatra e, quando il disagio viene preso sul serio, la prima indicazione è di consultare uno psichiatra e l’approccio farmacologico rappresenta la scorciatoia per star bene. In realtà questo complica un quadro già critico perché l’uso di farmaci compromette l’allattamento, e il senso di colpa per non poter allattare il proprio bimbo si aggiunge al senso di inadeguatezza e indegnità che pervade la mente delle madri depresse.
Sono pochi i medici che inviano allo psicoterapeuta e sono pochi i colleghi con una formazione specifica sui disagi psicologici della perinatalità. Curare la DPP non è come curare una Depressione Maggiore!
Poiché la DPP può avere ripercussioni sulla relazione mamma-bambino, la presa in carico non può e non deve essere solo materna ma della diade. Vorrei sottolineare anche che la DPP è solo uno dei disturbi psicologici della maternità, non è l’unico.

Secondo te le mamme sono informate abbastanza sui possibili aspetti negativi della maternità e al tempo stesso ne vogliono sapere? La mia psicologa per esempio mi ha detto che le donne nei corsi preparto non vogliono sentire parlare della depressione post partum perché non si vogliono rovinare un periodo felice.

Il primo trattamento della DPP è la prevenzione. Purtroppo però, non c’è una sufficiente informazione. Come ripeto, nei corsi pre parto non se ne parla “per non spaventare” e si ha un atteggiamento quasi magico, come a dire: se non ne parliamo non ci colpisce, se non la nominiamo non esiste! Credo che la tua psicologa abbia ragione, spesso le future mamme preferiscono non affrontare questo discorso e fare come lo struzzo. Beh…parlare della DPP non rovina la gravidanza ma non parlarne può rovinare il periodo post parto!

Al di là dell’atteggiamento delle donne, che posso comprendere (ma non condividere), ciò che più mi preoccupa è quello dei sanitari, dei così detti professionisti della salute che non fanno prevenzione e informazione. Ci sono ASL che hanno centri di eccellenza per la diagnosi e la cura della DPP e progetti all’avanguardia, ma sono realtà rare purtroppo. La maggior parte delle informazioni passano attraverso internet e i social network. Un altro aspetto da considerare e incentivare, a mio avviso, è il coinvolgimento dei partner. È necessario che siano informati sulle problematiche psicologiche che possono insorgere in gravidanza e nel post parto e siano formati sul riconoscimento dei sintomi. Un partner consapevole può davvero fare la differenza!

Quali sono le difficoltà maggiori che una mamma incontra oggi?

La nostra società ci vuole madri, ma non ci sostiene nell’esserlo. E ci vuole anche felici, scattanti, disponibili, appagate. In realtà siamo spesso tristi, stanche, arrabbiate, insoddisfatte. La difficoltà maggiore è dare voce a tutto questo. È difficile ammettere la nostra fatica, per vergogna, per paura del giudizio.

Le mamme sono sole. Mi accorgo che manca comprensione e solidarietà anche e soprattutto dalle altre mamme. Possono regalarti vestitini e giochi ma non accettare pensieri, comportamenti e stati emotivi diversi dai loro. È ovvio che il mio è un discorso generale.

Secondo te quali sono le bugie maggiori sulla maternità?

La più grossa bugia è quella secondo cui la maternità cambia la vita… non è vero. La STRAVOLGE! E nessuno è preparato allo stravolgimento.

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1 comment

  1. Maria

    La mia esperienza personale è: al corso pre-parto, censura totale su ogni e qualsiasi tipo di disagio psichico post-parto, ma ostetrica del consultorio (sui 40 e qualcosa, intendo quella che ha tenuto il corso) con l’occhio lungo, anzi lunghissimo. Una che i sintomi di un inizio di depressione li riconosceva al volo, da un tono di voce, un pallore, uno sguardo. E’ in grado di togliere le persone dall’orlo del baratro con una piccola gentile spinta ben calcolata e ben assestata, giusto un istante prima che vi cadano.

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