Tutte le volte che mi sono sentita fallita perché sono una mamma

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Che le donne non fossero proprio solidali tra loro ne ero vagamente al corrente. Non ho mai avuto però colleghe stronze o sgambettanti per passare avanti al lavoro. Ho invece sempre avuto molta fiducia nelle persone che incontravo: una donna se è intelligente e magari anche simpatica gode di tutta la mia ammirazione.

Poi sono diventata madre e ho capito che il solo fatto di aver procreato ti pone in una condizione a parte. Io sono di quelle che ha scelto di godersi i propri figli. Decisione difficile e controversa perché alle donne in carriera e cazzutissime mi contrappongo io che non solo non ho intenzione di dirigere Google, ma che anche considero fondamentale e primario il tempo passato con le mie bambine. “Eh, ma hai la laurea e fai la mamma?”; “La mamma? Allora non lavori”; “Fai la mamma ma poi pensi di tornare a lavorare, no?”. 

Sapete una cosa? A me tutte queste frasi danno fastidio. Mi umiliano, perché mi pare di capire che essere una madre e fare il genitore ogni giorno – anche se sono freelance quindi non è che passi le ore a raccogliere margherite – sia in qualche modo un ripiego, un “tanto non hai voglia di fare niente”.

Forse quelle che lo dicono non hanno idea – o più probabilmente ce l’hanno e per questo se ne distanziano – di che cosa significhi crescere delle persone che sono come delle pagine bianche su cui devi scrivere un bel po’ di cose. Dell’importanza che hanno l’educazione e il modo di intendere la famiglia per noi.

Io non ci ho neanche provato a conciliare la famiglia e il lavoro perché comunque sapevo che non avrei potuto rinunciare a stare tanto tempo a casa. Sia chiaro: non navighiamo nell’oro, abitiamo in affitto e abbiamo  le nostre difficoltà. A volte ci scoraggiamo. A volte siamo sfiniti. Eppure non lasceremmo mai le nostre bimbe ad altri. Ho letto in rete un commento che diceva che tanto i bambini si scorderanno di chi li andrà a prendere all’asilo, ma  che una volta cresciuti guarderanno con ammirazione la mamma che lavora ed è indipendente anche se partecipa poco alla loro vita.

Paola e Vittoria allora non mi daranno la loro stima? Non saranno fiere di me perché invece di lavorare per comprare loro il meglio, per farle vivere bene, sono continuamente presente? Perché un giorno si stuferanno di avermi intorno e allora tanto vale portarsi avanti?

Essere mamma non vuole dire dimenticarsi di sé, ma avere ben presente che niente ha più valore del tempo. Un tempo che non può solo essere sbocconcellato, ritagliato, rintuzzato. Soprattutto quando i bimbi sono piccoli c’è bisogno di tanta presenza, ché la questione della qualità a volte è un alibi secondo me.

Certo, una madre presente tutto il giorno solo fisicamente è ugualmente dannosa di una che c’è poco, ma nel mio caso mi sono sentita spesso sminuita come se la cura delle bambine facesse venire meno la mia intelligenza, le mie passioni, i miei interessi e il mio lavoro da giornalista.

E per la cronaca: non sono solo i datori di lavoro uomini a discriminare le madri. A me è capitato di vedermi quasi tolta una collaborazione di anni perché la capa, mamma, riteneva che non fossi abbastanza devota alla causa e che per la mia negligenza lei non potesse stare con sua figlia. Che io lavorassi fino a tardi, quando potevo visto che Paola aveva pochi mesi e con la depressione post partum non l’ho mai detto, proprio per non farmi dare della poverina ed evitare che mi mandassero via. Ma tant’è.

Io non so che cosa succederà in futuro. So però che la mia realizzazione avviene anche attraverso le mie figlie. Grazie a loro sono arrivata fino a qui. Sto continuando a lavorare perché mi piace, ma prima di tutto sono una mamma che si prepara ad una serata “tra ragazze” di 3 e un 1 anno, con Maya e Willy gli amici immaginari e un gatto salterino.

Foto credits: Pixabay




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