Depressione post partum: la mamma è veramente indispensabile?

la mamma è indispensabile

Quando ero ammalata di depressione post partum, spesso sognavo di andarmene via. Scappare. Ricominciare. Andare in un’altra città per ricostruirmi un’esistenza facendo finta di non essere madre. Ovviamente la dpp parlava per me, ma in quei momenti – sentendo l’angoscia che mi opprimeva il petto – mi sembrava l’unica soluzione possibile.

L’altro giorno sulla rubrica “Sex and (the) Stress” di Elisabetta Ambrosi su vanityfair.it ho letto un post che mi ha fatto riflettere. Raccontava di un’amica di Elisabetta che – ammalata di depressione – ha deciso di tornare a casa dei genitori lasciando di comune accordo in attesa di stare meglio, la gestione e la cura di suo figlio al marito, il quale si dimostra in grado di accudire il bambino esattamente come potrebbe fare una mamma.

Ecco. Proprio qui sta il punto. In quell’esattamente. Per fortuna oggi non ci sono più gli uomini di un tempo, che delegavano ogni incombenza dei figli alle mogli. Non è strano che magari – come nel nostro caso – la “gestione” di Paola e Vittoria venga divisa esattamente a metà. Mio marito è importante tanto quanto me e questo ci permette di ritagliarci spazi personali equi perché sappiamo di poter contare l’uno sull’altra.

Cosa avrebbe fatto lui se anch’io avessi deciso di andarmene quando stavo male? “A me sembra una cavolata – mi ha detto stamattina a colazione – “perché va bene che i papà possono fare tutto, non è una novità, ma è la mancanza fisica della mamma la cosa peggiore”.

Una mamma a mezzo servizio, tenuta sù con i cerotti e che non sta bene è meglio di una mamma che per un po’ sparisce, ma che quando torna è più o meno guarita? Perché è vero che per un bambino la presenza della mamma è la cosa più importante, ma una presenza “sbagliata” secondo me equivale ad un’assenza, comunque. Non so che cosa faccia più danni. E francamente questa mia domanda non ha – per me – una risposta chiara.

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2 comments

  1. Simona

    Cara Vale, la tua domanda è interessantissima. Ovviamente non ho una risposta, ma ho delle riflessioni personali data da esperienze che ho visto, robe che ho letto.
    Secondo me la risposta è: dipende. Innanzitutto dall’età del bambino.
    Per un neonato la mamma è importantissima, ha il profumo che sentiva nell’utero, ad esempio. Ma è anche vero che nei primi mesi la mamma potrebbe essere sostituita da un’altra persona di riferimento e il bambino se ne accorge relativamente. Non vuol dire che “non sia utile” vuol dire che la natura ha dotato i bambini di una sorta di elasticità, che li porta a prendere una persona di riferimento, anche se non è la madre biologica. Vedi i bambini adottati da piccolissimi. Ovvio che questa persona deve fare “la mamma”, cioè avere quella dedizione completa tipica della mamma col bebè. Secondo me i papà possono anche riuscirci, perchè no?

    Poi dipende da quanto è grave la mamma, se la dpp le impedisce di essere “presente nel modo giusto” per il suo bebè (affettivamente parlando), allora forse vale la pena concedersi una pausa, un distacco allo scopo di stare quel tantino meglio, avere quel minimo riposo sufficiente per iniziare a curarsi e poi tornare dal proprio cucciolo.
    Certo che il distacco non dovrebbe protrarsi per lungo tempo (non chiedermi quanto), perchè se poi la persona di riferimento per il bambino diventa un’altra, potrebbe essere troppo frustrante per la mamma.

    Penso che dopo una certa età invece il distacco sarebbe un trauma eccessivo, meglio una mamma malata che una mamma assente. Non so di preciso quando, ma ad es ho visto bambini abbandonati (perchè, checchè se ne dica, loro lo vivono come un abbandono) che smettono di crescere. Sono traumi che non si riparano mai e che influenzano la loro esistenza per sempre. Da li in poi meglio una madre malata o non al 100% che nessuna madre, e lo stesso vale per la figura paterna.

    Comunque sono convinta che una scelta di questo tipo non debba essere presa nè dalla mamma malata, nè dai famigliari, dovrebbe essere valutata da tutti con l’aiuto di un terapeuta, che sia in grado di valutare i rischi e i benefici.

    Baci

    Simona

    • Valentina Colmi

      Simona, la tua analisi mi sembra più che giusta. Non so quanto una madre debba pensare a se stessa e quanto ai figli. Ha diritto di curarsi ma di farlo in famiglia o al di fuori, come meglio crede? Sinceramente penso che neanche i terapisti siano in grado in certe situazioni di intervenire, proprio perché la depressione è una malattia subdola e soprattutto egoista. Tutto gira intorno a te, non riesci a vedere che ci sono anche gli altri a darti forza, semplicemente perché perdi interesse per tutto. Purtroppo, non bastano a volte i figli per reagire. Si tratta comunque di un abbandono, comunque la metti.

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