Elisa Bordin, psicologa: “La depressione post partum è ancora tabù, ma bisogna parlarne”

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Oggi intervistiamo Elisa Bordin, psicologa che lavora a stretto contatto con le mamme sia prima – nessuno si ricorda mai quanto sia importante la vita prenatale – sia dopo con spazi di aiuto e sostegno per neo mamme e donne che soffrono di depressione post partum. Ecco quello che mi ha raccontato.

Dott.ssa Bordin, quando si può dire che una mamma soffre di depressione post partum? 

Innanzitutto volevo ringraziarla per la possibilità di rispondere a questa intervista su un tema che mi sta particolarmente a cuore e di cui, purtroppo, solo negli ultimi anni in Italia se ne parla e si pensa al “cosa fare?”.

La depressione post-partum (o, meglio, puerperale) può essere determinata da fattori ormonali, fisici, psicologici, sociali e cognitivi.  Si può pensare che una donna ne soffra quando presenta, da e per almeno due settimane, umore depresso, mancanza di piacere e interesse nelle abituali attività. Oltre a questi aspetti devono essere presenti almeno cinque di questi sintomi: disturbi del sonno e/o dell’appetito (ipersonno o insonnia, iperfagia o mancanza totale di appetito), iperattività motoria o letargia, affaticabilità o mancanza di energia, sensi di colpa, bassa autostima, sentimenti di impotenza, ridotta capacità di pensare o concentrarsi e pensieri ricorrenti di morte.

Ci sono poi delle caratteristiche abbastanza tipiche nella mamma che soffre di depressione puerperale che la differenziano dalla depressione maggiore, come per esempio il picco depressivo nelle ore pomeridiane.

La depressione post partum può dipendere da fattori ambientali o sociali? Mi spiego: una mamma che ha un figlio in un ambiente culturale elevato, senza problemi economici può avere le stesse probabilità di ammalarsi di una che vive in una condizione più disagiata? 

Diciamo che anche i fattori ambientali/sociali possono influire nel senso che se si vive già in un ambiente marcatamente svantaggiato, degradato e magari con famigliarità di patologia psichiatrica è più facile che si verifichi la depressione post-partum. Ciò, però, non vuole assolutamente dire che vivere in un ambiente “ricco” renda esenti le donne di soffrire di depressione post-partum. Ci sono, ad esempio, attrici famose che ne hanno sofferto. Quello che potrebbe verificarsi, invece, è che in un ambiente particolarmente benestante si faccia di tutto per nascondere, per normalizzare il disagio emotivo vissuto dalla donna per un senso di vergogna.

La depressione post partum può colpire anche le mamme che hanno avuto un aborto o le mamme adottive?

Certo. Anzi, le mamme che hanno avuto un aborto spontaneo, un’interruzione volontaria di gravidanza o una morte endouterina in epoca gestazionale avanzata hanno molta più probabilità di soffrire di depressione puerperale proprio per questo evento fortemente stressante e traumatizzante vissuto prima.

Per quanto riguarda le madri adottive, invece, come dicevo prima la depressione post partum ha molteplici fattori, non è solo una questione ormonale, di conseguenza può accadere anche in questi casi che si manifesti questa problematica.

Che cosa viene fatto oggi negli ospedali italiani o anche nelle associazioni per aiutare le mamme con la dpp?

Negli ospedali italiani, purtroppo, a volte non viene fatto molto. In Italia ci sono molteplici realtà molto diverse tra di loro. Ci sono strutture ospedaliere in cui viene offerto uno sportello dedicato alle donne che soffrono di depressione post-partum e ci sono reparti, rari, in cui lo psicologo è una figura integrata nell’équipe dell’ostetricia e della ginecologia, per cui la donna, già durante il ricovero nelle ore dopo il parto, può rivolgersi allo specialista. A volte, invece, l’ospedale ha costruito una buona rete con i Consultori territoriali e, su consenso della madre, attiva direttamente una rete territoriale per un supporto al domicilio nel momento in cui la madre ed il bambino vengono dimessi. Purtroppo queste realtà sono rare. Un altro grande lavoro lo fanno le associazioni che offrono consulenza psicologica alla madre, alla coppia genitoriale e incontri di gruppo.

Qual è l’iter che seguite quando una mamma viene da voi?

Da noi una madre può accedere autonomamente allo sportello “Non sei sola” prendendo direttamente appuntamento con me, oppure può essere accompagnata a questo servizio dalle colleghe con cui lavoro (psicologhe, ostetriche, doule…). Nel nostro studio è data grande rilevanza alla prevenzione e all’informazione quindi anche nei corsi di accompagnamento alla nascita che vengono fatti si parla proprio di cambiamenti umorali, ormonali e di fragilità della madre e del padre.

Una volta che la donna accede allo sportello si fanno degli incontri di consultazione dopo i quali si valuta insieme che percorso intraprendere, tenendo presente anche la possibilità che forniamo di dare un aiuto al domicilio soprattutto negli aspetti di accudimento e di relazione con il figlio.

C’è anche la possibilità “indiretta”. La collega psicologa Valentina Liuzzi organizza presso lo studio tutti i venerdì mattina il laboratorio neo mamma, gratuito, per tutte le neo mamme coi bimbi in cui si parla, ci si confronta etc...un accesso allo sportello “Non sei sola” può avvenire anche da lì: la mamma parla con la dott.ssa Liuzzi e lei prende l’appuntamento.

In Lombardia 1 mamma su 3 soffre di depressione post partum, eppure non esistono in Italia delle linee guida universali per trattare la malattia, soprattutto sul terreno della prevenzione. Che tipo di aiuti ci sono allora? 

La depressione post partum colpisce molte donne, le statistiche dimostrano come il 16% di donne soffra di questo disturbo. Attualmente effettivamente non ci sono linee guida universali per la prevenzione anche se ci si sta sempre più indirizzando verso una formazione specifica degli operatori sanitari per riconoscere sempre meglio i segnali di depressione post-partum (ginecologi, ostetriche, pediatri, neonatologi…) o i fattori di rischio (anche con la somministrazione di questionari di screening durante la gravidanza). L’Osservatorio Nazionale Donna (O.n.da) ha costituito, inoltre, in questi ultimi anni una rete degli ospedali italiani sensibili ai problemi delle donne, tra cui la depressione post-partum (i cosiddetti ospedali rosa). Ci sono poi degli ambulatori di psichiatria territoriali che si occupano di questo problema e in Lombardia c’è un importante progetto dell’Ospedale Fatebenefratelli che sta realizzando una proposta di linee guida da presentare al Ministero della Salute.

Altra questione fondamentale, poi, è l’informazione delle donne stesse. E’ di grande importanza che della depressione post-partum se ne parli, così come di tutto quel cambiamento ormonale e umorale più o meno fisiologico che avviene in gravidanza e durante il parto. E’ importante che se ne parli nei percorsi di accompagnamento alla nascita, ma anche che diventi argomento di pubblico dominio. Spesso, purtroppo, a livello mediatico la depressione post partum viene correlata al figlicidio e questo genere grande angoscia nella donna che, anche se capisce di aver bisogno di aiuto, non lo chiede per paura di essere etichettata o vista come una possibile assassina di figli. Sicuramente questo è un forte deterrente per molte madri che così non chiedono aiuto. A volte, infine, una donna combatte con la vergogna di vivere con tristezza un momento che “deve essere felice” e così si sente sola e si isola ancora di più. In questo, purtroppo, la nostra cultura ha creato un grosso tabù: non si può essere tristi quando tutti sono felici e ciò non fa altro che rafforzare l’idea della dona che tutto questo passerà, che è lei sola ad essere sbagliata e che non si deve chiedere aiuto. Ecco, la prevenzione dovrebbe eliminare questo tabù.

Anche i papà possono soffrirne, sebbene si parli poco di questo aspetto. Lei ha avuto qualche esperienza in merito?

Ebbene sì, anche i papà possono soffrirne, ma se per le madri è un tabù, per i padri è un TABU’ con tutte le lettere maiuscole. Solitamente le manifestazioni paterne sono lievemente diverse e quello che si nota di più è la loro persistente stanchezza con frasi del tipo “sono sempre stanco” “mi sembra di non avere più forze” “sono esausto”, ovviamente dette in modo persistente per più giorni.

A livello clinico e di servizi questi papà, purtroppo, si vedono molto poco perché la società li confina al ruolo di colonne portanti anche in eventi drammatici come la perdita di un figlio. Nella mia esperienza personale li ho visti solo in percorsi di coppia, individualmente non sono mai arrivati per chiedere aiuto per una depressione post-partum. Credo ci sia del grande lavoro di prevenzione da fare anche in questo ambito!

Qui tutte le informazioni (e se avete bisogno di aiuto, su questa pagina trovate altre strutture che si occupano di depressione post partum)

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